Lettera da Aquileia (7)

Tempi nuovi, dice mia moglie, tempi in cui tutti gli uomini saranno fratelli, tempi in cui si deporranno le armi e la pace sarà garantita dalla non violenza. Porgi l’altra guancia, non replicare all’offerta, offriti indifeso e gli altri non ti assaliranno e, se lo faranno, ne dovranno rendere conto, perché tu sei un figlio di Dio e il tuo regno non è di questa terra.
Sigismonda cara, le dico, le tue idee sono belle, ma non riuscirai mai a convincere me, vecchio ostinato, che la pace porti pace, che sguarnendo le difese nessuno ci attacchi, che la politica della pace si possa applicare su scala universale. Che poi ci sia o non ci sia il regno dei cieli questo non te lo so dire, intanto cerchiamo di vivere meglio che possiamo su questa terra, senza fare offesa, ma anche senza subirla, e, visto che gli uomini da sempre sono stati abbastanza feroci, mi sembra non sia il caso di abbassare ulteriormente le difese.
Allora Sigismonda mi sorride e mi carezza i capelli. Vecchio sciocco, mi dice, perché non vuoi trovare un po’ di pace? La tua antica presunzione di comprendere ti condanna. Chi si umilia sarà esaltato, il mondo sarà degli umili, di quelli che si affidano nelle mani della provvidenza non di quelli che, come te, presumono di capire.
Io la ascolto, da un lato stupito del suo fervore, dall’altro preoccupato di come queste idee di una mitezza diffusa possano dare il loro contributo – e forse lo hanno già dato – alla distruzione dell’impero. Lei vorrebbe che io pensassi a salvare la mia anima, visto che sono vecchio e presto morirò, e io invece penso a quel che sarà dell’impero di Roma, del suo pensiero e delle sue opere, della sua straordinaria capacità di assimilare le popolazioni più disparate sotto il rispetto di un’unica legge che provvedeva in modo equo al bene di tutti.
Sono sempre più convinto che non sono stati gli attacchi dei barbari, le invasioni, ma il mutamento di pensiero, la nostra interna debolezza a causare il nostro tracollo. Quando un corpo comincia a odorare di vecchiaia gli avvoltoi ci girano attorno, presentono la preda, si accingono a farne strazio.
Abbiamo lasciato che questo accada, che i romani non credano più a se stessi. Lo ripeto sempre a mia moglie, Voi sovvertire ogni elemento dando tanto spazio a un ipotetico futuro e così poco al benessere e alla cura della nostra vita. Lei da parte sua mi ripete i suoi paradossi a cui obietto con le mie vecchie regole di saggezza, che talvolta sembrano strane anche a me.
Talvolta mi metto a fantasticare su un mondo in cui non ci sarà più la conoscenza di quello che è stato il nostro passato, un mondo meno civile di quello che abbiamo conosciuto nella nostra giovinezza, un mondo chiuso e retrivo, intento a edificare mura e a fortificarsi con difese inutili, posto che ha tralasciato l’unica vera difesa che è la coerenza morale, la solerte trasmissione della cultura, la costruzione del futuro nella continuità. Immagino un futuro allucinante: castelli arroccati e isolati, razzie e roghi, il nostro patrimonio letterario perduto, le opere d’arte distrutte o inglobate in nuovi edifici…
Quando accenno a questi discorsi tutti mi guardano come un pazzo, un nemico. Loro si proiettano solo nell’immediato, vedono unicamente i loro quotidiani grattacapi e ascoltano le mie parole con fastidio, alle volte persino con rabbia.
Lo so, non si può fermare la storia, ma amo disperatamente il nostro mondo, lo amo con tanta maggior intensità proprio perché lo sento debole e sul punto di cadere. Lo amo di un amore disperato, consapevole che non potrò fare nulla per salvarlo.
A presto, spero, amico mio. Con l’affetto di sempre
Lucio

m.t.t