Amatriciana

Giacomo aveva prenotato nel solito ristorante di Trastevere.
“Eccoti qua” disse vedendo arrivare Luca trafelato.
“Scusami, sono sempre in ritardo, sempre di fretta”.
“Per questo combini poco, – rise Giacomo. – Non bisogna mai avere fretta”.
Luca rimase per un po’ pensieroso, poi disse: “Il fatto è che ho tante idee, tante rabbie”.
“Non prendertela, il mondo andrà per la sua strada qualsiasi cosa tu faccia e pensi”.
“Allora non possiamo incidere in nessun modo?”
“Molto poco e comunque non ne vale la pena”.
“Alcuni però hanno inciso”.
“Vuoi diventarmi il Che?”
“Non sono per la violenza”:
“Allora rassegnati. Pensiamo a ordinare”.
Luca ordinò in fretta, poi riprese: “Ti sembra che non ci sia niente da fare a questo mondo?”
“Ci sarebbe tantissimo da fare, indubbiamente. Pochi possono dirsi soddisfatti. Bisognerebbe cambiare, migliorare, dalle piccole cose alle grandi”.
“Vedi che sei d’accordo con me? Ieri passavo dietro al teatro Marcello e vedevo tanti bottini aperti e immondizie al suolo. Possibile che non si possa risolvere il problema di tenere una città pulita? Sembra di vivere nel Medioevo”.
“Sarà uno degli ennesimi scioperi. Però a Roma siamo messi meglio che a Napoli. Lì le strade del centro sono quasi intransitabili”.
“Ma è assurdo che succeda tutto questo! Da una parte ci sono tantissimi che aspettano di fare qualcosa per vivere, dall’altra ci sono le strade piene di buche, i bottini non vuotati, i monumenti che vanno a pezzi”.
“Certo, ci sono tanti che aspettano di lavorare. Ma non vogliono fare qualsiasi cosa”.
“Ma ci sono anche alcuni che aspettano tout court. Ad esempio gli immigrati che se ne stanno oziosi per un anno senza poter fare nulla. E poi tutti i disoccupati…”
“Ci sono leggi che fanno sì che non possano essere assunti”.
“Non è illogico?”
“Lo è, ma cosa ci vuoi fare?”
“Perché nessuno pensa a snellire queste norme e a provvedere al bene collettivo?”.
“Il bene collettivo? mio dio! credo non interessi più a nessuno. In primo luogo non c’è nessuno che voglia assumersi la responsabilità di infrangere dei diritti acquisiti. I disoccupati sono tutelati. Non è che puoi mettergli la ramazza in mano”.
“Cazzo. E i richiedenti asilo, anche quelli devono fare la muffa senza fare nulla?
“Non si possono far lavorare. Altrimenti è sfruttamento”
“Siamo matti?”
“Solo adesso te ne accorgi?”
“Ma loro forse sarebbero contenti”.
“La legge è così. Nessuno rischia”.
“Allora il problema è la legge”.
“Te ne accorgi finalmente!”
“Eh, sono un po’ tonto”.
“Perché tutti scappano e investono all’estero? Perché anch’io fra un po’ vi saluterò? Perché in Italia ci sono pastoie e pastoie e non si riesce a fare niente di buono. Diritti garantiti salvaguardati e guai a chi li tocca. Garanzie e abusi delle medesime. Norme e cavilli in cui i furbacchioni si intrufolano e gli onesti si paralizzano. Così siamo sempre fermi al palo”.
“O andiamo indietro come i gamberi”.
“Quanto a benessere no, non credo, ma quanto a qualità della vita qualche volta viene da osservare che non si fanno grandi progressi”.
“Eppure ci sarebbe la possibilità! Mai come oggi ci aiuta la tecnologia e ci sono sul campo forze disponibili”.
“Te l’ho detto. Ci siamo creati un sacco di vincoli. Non è così, te lo assicuro, in tutti i paesi del mondo. Qui manca mobilità, i sindacati non la permettono. Strappano solo garanzie a chi ha già un lavoro. Quelli che non rientrano tra i fortunati hanno solo la sicurezza di non lavorare”.
“Se non hanno una famiglia alle spalle se la passano maluccio…”
“Diciamo che la maggior parte ha una famiglia che li mantiene, e anche alla grande, perché gli adulti sentono un violento senso di colpa. Buffo ma è così. Anch’io faccio spesso leva su quello”.
“È vero. È molto diffuso il senso di colpa. Da cosa deriverà?”
“Probabilmente dalla loro educazione. Comunque non ha importanza. A me è venuto comodo molte volte”.
“Ma perché non si distribuiscono meglio i compiti in questa società di merda?”
“Perché è una società di merda. Ognuno di quelli che ha agguantato un posticino se lo tiene stretto c non rischia nulla. Accetta che la legge non consenta molte iniziative”.
“Dovremmo cambiare la società alla radice. Sarebbe un imperativo morale. Qualcuno deve pur assumersi la responsabilità di fare scelte impopolari per il bene della collettività”.
“Nessuno vuole essere impopolare. Tutti regalano concessioni a questo e a quello e tengono la platea disunita per mantenere più a lungo possibile il potere”.
“Allora forse è meglio andare all’estero”.
“Anche lì ci sono regole e limiti. Ma certo per un imprenditore è più facile…”
“E abusi ci saranno?”
“Certo. Più che in Europa. È evidente. È nella natura umana”.
“Dove allora si può trovare un po’ di giustizia?”
“Devi rivolgerti al padreterno. Ti consiglio di mandargli uno sms, con il numero verde si aspetta troppo”.
Luca rise e si mise di buona lena a mangiare la sua amatriciana.

(dal mio romanzo Trieste. La resa dei conti (Campanotto editore, 2019)