Se il mondo fa schifo

“Allora, signor idealista, cosa ti è successo a Ravenna? chiese Giacomo mentre Luca si sprofondava in un’altalena che tra le piante e i tavolini arredava la terrazza.
“Ho conosciuto una puttanella”.
“Bene”.
“Bene un corno. Sono stato maltrattato psichicamente”.
“È inevitabile, mio caro. Ti riprenderai presto”.
“Mi sono già ripreso, – disse Luca, – e per dir la verità sono anche contento di quest’esperienza”.
“Mi piace quando parli così, signor idealista”.
Luca rise rilassato. S’era scolato due bicchieri ed era già un po’ brillo.
“Certo che sono un idealista e me ne vanto. È male?” riprese.
“No, non è male, però è un peccato. Ti farà male alla salute. Ti tirerà addosso molti problemi. Sarebbe meglio se cambiassi”.
“Sto parlando seriamente, Giacomo”.
“E io seriamente ti dico che questo vino di Bordeaux è ottimo”.
“Ascoltami…”
“Ascoltami tu – controbatté Giacomo – Siamo tutti potenzialmente dei delinquenti. Perché credi che la mafia attecchisca così bene nel nostro paese? Perché tutti vogliono di più e di più. Se tutti fossero onesti non avremmo i ladri in grande stile, non avremmo una classe politica corrotta, non avremmo la mafia infiltrata dappertutto e inespugnabile”.
“Sono fenomeni da combattere. Non sono inevitabili,” mugugnò Luca tra l’ilare e l’affranto.
“E invece non è così, – proseguì Giacomo – se la gente fosse come tu la immagini, tutto questo non esisterebbe. Invece la gente è fatta in modo diverso da come tu pensi. Vuole avere soldi, vuole comprare oggetti, vuole divertirsi, vuole avere quello che desidera, vuole scalare qualche gradino della società, essere tra i vip”.
“Questi sono i cascami degli anni Ottanta, quello che in quel momento è diventato di moda. Prima non esisteva l’edonismo sfrenato, non esistevano gli yuppies, non esisteva la movida, non si doveva sempre essere fashion o darsi un look. Sono anni passati, lontani nel tempo, che però ancora dettano legge. Spetta a noi dar loro un calcio e inaugurare una nuova era”.
“Noi? e perché? – Giacomo rimase un po’ in silenzio, poi disse: – Forse una nuova era inizierà davvero, ma non perché noi la imporremo. Le leggi dell’economia ci stanno portando in quella direzione. Gli anni Ottanta sono passati da trentacinque anni. Quelli che erano adolescenti in quegli anni adesso sono grigi cinquantenni. Alcuni di loro sono realizzati, parola orrenda, però i più sono abbastanza frustrati. Si sentono presi in giro da una società che li ha illusi. Sono arrabbiati non solo dell’inevitabile scorrere del tempo, ma anche del fatto che la vita non offre loro nessuna sicurezza. Che stridente contrasto con l’edonismo a cui sono stati educati! Nessuna sicurezza sul lavoro, nessuna sul futuro dei figli. Noi siamo giovani, abbiamo vent’anni, pensiamo in modo diverso. Certo, vediamo come stanno le cose. C’è da rimboccarsi le maniche. Il mondo è cambiato e cambierà ancora. In modo velocissimo. Inutile raccontarsi favole”.
“Allora vieni sulle mie, Giacomo? Non ti ho mai sentito così saggio!”
“Non vengo sulle tue. Sto solo analizzando. Le nostre conclusioni sono diverse. Io prendo atto che non si può che partire da una buona base, se si vuole salire molto in alto. Tu vuoi fare da solo, arrangiarti con lavoretti malpagati. Io devo stare al gioco, anche se il gioco mi fa schifo. Devo fare buon viso. Ma pregusto già la mia vittoria. Questa è la differenza tra noi”.
“Un volta si leggeva Avere o essere di Fromm” disse Luca meditabondo.
“Bubbole. Altri tempi. Noi siamo diversi”.
“Non è vero invece. Ci possiamo liberare benissimo da quelle sovrastrutture che la società dei consumi ci ha messo addosso”.
“Per che farne?”
“Per essere liberi. Per poter lavorare o no. Per poter scegliere se essere ricchi o no”.
“Ricchi è meglio, dammi retta”
“Ma perché?”
“Per mille ragioni. Sei più tutelato. E poi è più facile che un ricco diventi molto ricco che un povero diventi ricco”.
“Fanculo”.
“È così, Luca mio. E a me dispiace. Tu sogni di cambiare il mondo, io invece prendo atto di com’è”.
“Fa schifo”.

Dal mio “Trieste. La resa dei conti” Campanotto, 2019