Afgani

Alessandro, Antonio e Paolo arrivarono all’autoporto di Fernetti a mezzanotte per mettere il camper nel rimessaggio.
“Lo lascio sempre qui, – disse Antonio – è comodo. Poi quando mi serve vengo a riprenderlo”.
“Ma guarda che confusione a quest’ora. Non vi pare strano?” esclamò Paolo meravigliato.
Davanti all’autoporto c’era un’autoblinda della polizia, una volante e un crocchio di camionisti.
“Hanno fatto fuori uno” disse laconico il maresciallo.
“Dobbiamo entrare nel campeggio”.
“Potete passare tranquilli, se il custode è ancora sveglio”.
Arrivò il custode arzillo e pimpante con al seguito un grosso cane lupo.
“A quest’ora?”
“Abbiamo bucato una ruota”.
“Che sfiga. Le strade della Croazia! Per fortuna qui non si dorme mai da quando ci sono gli afgani”.
“Gli afgani?” chiese meravigliato Alessandro.
“Sì – lo ragguagliò Antonio – qui danno accoglienza a una cinquantina di profughi”.
“Magari cinquanta! sono solo trentacinque, però non è male anche così” fece ridendo il custode e aggiunse: “Non mi hanno ancora tagliato la gola”.
“Ma va! Sono buonissimi – disse la moglie che era sopraggiunta. – Pensate che mi chiamano mamy. Sono dei ragazzi”.
“Ragazzoni di 20 anni. E non ce n’è uno che abbia i documenti. Nessuno ha niente. L’età gliela mettono a caso. Li guardano in faccia. Tutti del 1 gennaio del 1993 o del 1994”.
“Sono da tanto tempo qui?” si interessò Alessandro.
“Da troppo tempo! Non ne possono più neanche loro! Vogliono andare a lavorare nel Nord Europa. Non vogliono fermarsi in Italia. Comunque finché restano mi danno trentacinque euro al giorno per ciascuno di loro. Non sono mai stato così ricco”.
“Trentacinque euro al giorno per ciascuno?”
“Sì. Poi pago la Caritas e le tasse, ma comunque mi restano circa venti euro che, moltiplicati per trentacinque, quanti sono gli afgani, e per trenta giorni al mese, vedete voi. Per me sono un capitale”.
Il cane abbaiò.
“Cos’hai cucciolo?”
Lo carezzò poi riprese. “Con questo qui nessuno scherza. Se glielo lancio contro, li massacra. L’ho abituato così. Comunque, come vi dicevo, non ci sono problemi. Finché dura, si sta allegri. Volete un goccio?”
“No grazie – rispose Paolo – io andrei volentieri a casa”.
“Ma perché sono tutti svegli?” chiese Alessandro curioso.
“Uno si è bucherellato la pancia per richiamare l’attenzione”.
“Oh poveraccio. Niente di grave, spero” fece Alessandro.
“Nessun problema. Lo fanno spesso. Sanno come si fa senza farsi troppo male”.
“Perché lo fanno?”
“Per accelerare l’iter, altrimenti restano qua a far la muffa”.
“Ma perché c’è tutto questo casino di polizia?”
“Non per loro. Per i camionisti dell’autoporto. Uno è stato ammazzato dal compagno”.
Antonio spiegò che il campeggio confinava con un autoporto molto affollato perché attraverso il valico di Fernetti transitava il traffico dell’Est e passavano i camion che si imbarcavano sui traghetti per la Turchia.
“Sono camionisti dell’Est – disse il custode – che devono fare tempi pazzeschi e hanno sempre i nervi scoperti”.
“E bevono” aggiunse Paolo.
“Questo si sa”.
“Va beh. Abbiamo fatto tardi, – disse Antonio – io entro, posteggio il camper, prendo la macchina e vi riporto subito in città”.

dal mio “Trieste. La resa dei conti” Campanotto, 2019