Un viaggio nella crisi della società occidentale. Lettura di Marina Silvestri a “Rotte d’Europa” di Marina Torossi Tevini

1_03_Notre_Dam_scorcio-CIMG4689Viaggiare è strappare almeno un po’ le radici da un luogo – abitudini ripetitività conforto che una vita che si ripete fornisce – e lasciarsi scivolare sul mondo – leggo a pagina 39 dell’ultimo libro di Marina Torossi Tevini – Al mattino ti ritrovi in un altro ambiente, ripeti le tue abitudini con delle variazioni, fai la tua passeggiata, fai colazione, cerchi una nicchia per scrivere pensare. Ricorrono in questi venti racconti molti dei temi già affrontati dall’autrice nei precedenti lavori, i mali della società di oggi, i rapporti generazionali, i giovani, la scuola, i viaggi, la classicità intesa come sguardo di paragone. Rotte d’Europa pubblicato dalla Hammerle Editori (pagg. 191, euro 14), quarto libro della collana I LIBRI DEL PEN TRIESTE, è un diario di viaggio dove i percorsi si fanno rotte di civiltà e di storia. Non so se sono portata a viaggiare o no – afferma l’autrice – So solo che quel continuo movimento, se da un lato dà sollievo con la sua varietà al mio animo, dall’altro lo sovraccarica di stimoli e di inquietudini che la sedentarietà non offrirebbe. Dunque è sempre un problema di equilibrio tra movimento e stasi, occasioni e ripetizioni, novità e ritorni. Un’alchimia di cui ogni volta bisogna inventare una formula soddisfacente. Fare del viaggio un momento di distacco dal quotidiano in cui le riflessioni si perdono, viverlo come possibilità di affinare la capacità di lettura del reale, di aprire i sensi e la mente. In questi articoli si delinea un’analisi coerente e coinvolgente del nostro presente a cui il lettore è chiamato a confrontarsi. Diversamente da libri precedenti in cui centrale era il tema del fascino del viaggio, come Il cielo della Provenza o Viaggio a due nell’Europa di questi anni, qui è preponderante la denuncia della crisi che si fa evidente soprattutto là dove in precedenti visite le città avevano mostrato un volto ancora positivo, a volte ancorato alla grandezza del passato, altre in pieno sviluppo. Le pagine si aprono sulla Bretagna, gli allineamenti di megaliti, le maree di Mont-Saint-Michel, poi i paesini della Provenza, Sait Paul de Vence in particolare amato da Prévert, la Catalogna, Gerona, Cadaqués, Figueres e il museo-teatro dedicato a Dalì, la Camargue e Saintes-Maries-de-la-Mer, meta primaverile degli zingari, per spostarsi nella Lisbona di Pessoa, a Londra, a Oslo, ad Amsterdam, a Monaco, nella nuova Berlino dopo la caduta del muro con le sue architetture avveniristiche, e ancora sul Baltico, a Stoccolma, Helsinki, San Pietroburgo, a Tallin, a Riga, a Danzica, nuovamente al sud a Nizza, Bordeaux, nella Dordogna sulla tracce degli albori dell’umanità, l’incontro di Cro-Magnon e Neandertal, e poi Barcellona, Granada e Palma de Maiorca, mentre un rovello interiore accompagna i giorni. ‘Istantanee’ di un mondo in mutamento. Il Sud al collasso, il Nord che ha paura di perdere il benessere raggiunto e si sente vulnerabile e prigioniero del paradiso che ha costruito. Dense, lucide e amare le considerazioni dipanano i temi emergenti di una società ‘virtuale’ e ‘fragile’ che ha cancellato la capacità di sognare e progettare il futuro. Ho sempre l’impressione che manchi qualche tassello per capire. La crisi che ha colpito l’Europa il mondo negli ultimi anni è complessa. Aspetti finanziari indubbiamente, – questa finanza impazzita che ha macinato profitti giganteschi speculando sulla vita dei popoli, – ma presenta anche soprattutto preoccupanti aspetti sociali. In primo luogo la disoccupazione giovanile. Su questo problema in un altro articolo dirà: Complice la crisi, la dimensione globale che l’economia va assumendo, il tasso di disoccupazione giovanile – specialmente negli Stati del sud Europa – raggiunge livelli assurdi che ci fanno riflettere sul tragico fenomeno per cui più della metà dei giovani nel periodo in cui sono al meglio del loro intelletto e delle loro condizioni fisiche non sono occupati in nessuna vera e propria attività. È uno spreco di risorse umane davvero pericoloso.
Marina Torossi Tevini ci porta a riconsiderare sotto un’altra luce anche la crisi della letteratura divenuta autoreferenziale, che ha abdicato al suo compito si essere ‘esperienza di vita’ e ‘allargamento dei confini dell’esistente’, e non ha più la capacità di ‘stabilizzare,’ di dare consapevolezza alle giovani generazioni tradite dal consumismo e da una scuola non più all’altezza del suo ruolo, e quella della stessa poesia che un tempo sapeva rendere ‘paradigmatico’ il ‘sentire privato’ divenendo ‘specchio delle emozioni profonde della collettività’, in cui l’uomo più non si riconosce. Perché il consumo è divenuto l’unico ‘valore etico’. L’autrice ricordando quanto scrisse Alexis de Tocqueville nel 1856 nel suo saggio L’antico regime e la rivoluzione, ci offre una prospettiva che, afferma, “va presa come un’idea curiosa, che forse ha in sé un nocciolo di verità”, ed è per il lettore indubbiamente spiazzante. “A mano a mano che si sviluppa la prosperità scrisse de Tocqueville – gli spiriti sembrano più inquieti, il malcontento pubblico si inasprisce, l’odio contro le antiche istituzioni aumenta, la nazione si avvia palesemente verso la rivoluzione”. Come dire, la trasformazione che stiamo attraversando è stata indotta dal benessere, dalla vita facile, dall’assenza dei problemi che hanno attanagliato le generazioni passate.
Mentre il viaggio procede in camper o in crociera, cambiano la luce e gli scenari, i sapori e i suoni, si snodano i pensieri e si fa strada una tesi forte che non può essere elusa: Cos’è accaduto? Il proletariato è andato al potere nessuno se n’è accorto? In un certo senso sì. Spazzate via le idee delle classi sociali superiori, considerata obsoleta la cultura e il senso del dovere della classe borghese, considerati superati i valori della bellezza e dell’arte, la nuova società globale ha fatto suoi i limiti e le licenze delle classi subordinate di un tempo e, a grandi dimensioni l’uomo consumatore di oggi, è un uomo che ha gli orizzonti del proletariato di un tempo – guadagno, divertimento, sesso, confronto talvolta drammatico col denaro. Ci siamo appiattiti al livello più basso. E delle classi subalterne abbiamo tutti limiti: il non idealismo di fondo, che ci rende sonnacchiosi o iperattivi, annoiati e sempre in movimento. Non abbiamo un centro di gravità dentro di noi, siamo sudditi a tutti gli effetti e come tali ci comportiamo.
Parlando della “proletarizzazione della società” si vuol indicare la caduta di valori che un tempo sembravano ineludibili e la massificazione a livello più basso. Nel corso del Novecento, e in modo particolare negli ultimi decenni, sono stati spazzati via gli ultimi baluardi del mondo di ieri, la bellezza, la lealtà e il coraggio propri dell’aristocrazia, l’operosità e il senso della famiglia della borghesia, e in questo vuoto la mercificazione ha trionfato. Come reagire? Considerando la crisi un’opportunità. Dobbiamo imparare a sottrarre a non accumulare sempre, – sensazioni immagini parole – ma selezionare a togliere di mezzo quello che ci sta trasformando l’anima in un magazzino, con le informazioni accatastate, a fare ordine. Forse dovremmo imparare a strutturare a porci dei centri di gravità, a togliere quello che non è significativo, a scegliere con giudizio.

articolo di Marina Silvestri pubblicato sul n.1 di Ponte rosso