Lina Galli, una poetessa da ricordare

20151216_115816La memoria ha la vita corta. Incalzati dalle novità in ogni campo si tende presto a dimenticare il passato. A Trieste una poetessa che negli anni Settanta e Ottanta era molto nota oggi è pressoché dimenticata: Lina Galli.
Ebbi modo di conoscerla negli anni Novanta quando lei era molto vecchia, aveva superato la novantina, e io avevo appena pubblicato il mio primo libro di poesie. Mi sembrò una persona molto entusiasta della poesia e della vita e questo mi piacque.
Iniziai così a leggere le sue poesie, le molte raccolte pubblicate soprattutto negli anni Settanta e Ottanta.
Negli anni Settanta la società occidentale non aveva assunto ancora la dimensione tentacolare dei nostri giorni, l’apparenza non si era ancora imposta così marcatamente, il virtuale non era presente, se non in misura molto ridotta. Ma la poesia di Lina Galli in quegli anni è spesso poesia di denuncia, poesia che si confronta con i grandi problemi del mondo contemporaneo: incomunicabilità, alienazione, svilimento della parola( “Dal fondo della stiva” o “Intermezzo”).
L’attenzione critica per la società si presenta spesso come una denuncia di quelli che sono i falsi dei a cui l’umanità sembra votarsi. Gli uomini, servi dell’apparenza, sono divenuti disumani: miseri robot che hanno perduto la capacità di comunicare (“Creature? smorfie, smorfie di marionette/ infitte dentro al ghiaccio” da Alienazione).
Anche negli anni Ottanta questi temi ritornano nelle raccolte “Chi siamo?” e “Il tempo perduto”, ripresentandosi con maggior forza. Ricorre insistente nella sua poesia il tema della solitudine. “Colmi di solitudine i giovani / non si sfiorano, non si guardano…Veto alle parole. Non credono più alle parole. Veto alla carezza/neppure alla carne più credono”. (da I vecchi)
L’arte, per la Galli, ha la funzione di cogliere quanto agli uomini può sfuggire, e di denunciarlo. “Terribili radar i pittori/ da decenni testimoniavano/ i segni del disfacimento/ nel vasto suicidio/ La gente danzava/ nessuno capiva/ nessuno sapeva/ nessuno pregava”.(da Radar)
La poesia è una forma di lotta coraggiosa. Ha significato solo il difficile lavoro di scavo all’interno di noi, unito al lavoro di demistificazione di quello che attorno a noi appare falso e fuorviante. Scrivere dovrebbe essere ricerca di verità, tentativo di smascherare le mistificazioni, battaglia per ridare alla parola una dimensione individuale.
Autentica dovrebbe essere la nostra esistenza, profondamente autentica, e non dispersa dietro all’effimero. Dovremmo resistere a un mondo dove “… vale solo la forma. Tutto è solo sofisticata forma”(da “Sulla strada”)
L’apparenza non accontenta, e dell’apparenza non ci dobbiamo accontentare, sembra ricordaci Lina Galli dalle sue poesie che – per molti aspetti – ben si attagliano ancor oggi alla realtà che ci circonda, e con forza contrappone a questa realtà depauperata valori positivi. Sono frequenti i richiami a una vita di maggior spessore, in cui i rapporti tra le persone siano più veri e la natura non venga uccisa dall’artificiale.
Siamo tutti consapevoli di essere circondati da parole inautentiche: i quotidiani messaggi che i mass media rovesciano su di noi creano ad arte una realtà che non corrisponde, o corrisponde solo in parte, alla realtà effettiva. Come su specchi giganteschi e deformanti ci si presenta una realtà alterata, e noi abbiamo la sensazione di non riuscire a vedere oltre l’apparenza, di non riuscire a capire. Osserviamo una realtà costruita in modo più o meno sapiente da burattinai disonesti; le notizie sono volutamente falsate o semplicemente, e più spesso, alterate nelle loro proporzioni.
Contro questa aberrante condizione, che in qualche modo ci corrode e ci contamina, dovremmo creare una sorta di resistenza armata. Contro una società fondamentalmente alterata alle radici non si può rinunciare a combattere, e la poesia è coraggiosa lotta contro questo cancro che ha avvolto il mondo. Fare poesia dovrebbe essere anche questo.
La Galli concepisce in questo senso la poesia. Si sentiva una Cassandra inascoltata in un mondo che allevava “mostri”.
Dal suo lucido osservatorio immaginava un’apocalittica fine di un’era che aveva irretito l’uomo in fasulli tentacolari alienanti trappole. Un uomo che non trovava più il tempo per ascoltare la voce dentro di sé, per colloquiare con il passato, per sentire le voci di quelli che non c’erano più.
La voce della poesia, il silenzio assorto che la poesia richiede, possono essere un antidoto forte a questa progressiva disumanizzazione.
È questo l’invito della Galli; un invito a ritrovare nella parola autentica e nel profondo di noi una verità che la realtà, col suo frastuono, tende a sommergere.
La poesia della Galli non è poesia femminile nel senso limitativo della parola, è poesia di livello e quindi supera le differenze di sesso, vola alta e si confronta coi problemi esistenziali dell’uomo.
L’amore è inteso come turbinoso sconvolgimento dell’animo ma anche come senso della vita. “Come risacca l’insonnia/al guanciale ribatte/Ardono le fresche tele/ Forano il buio gli occhi/ irti di fuoco/che importa, crudele?/se mi guardi con occhi raggianti/anche il più sordo dolore si fa grano spendente”.
Il dramma della maternità inespressa è reso con grande efficacia in: “Figlio non nato e mio/ urgi dall’ombra/ con pallido sorriso/gravi nella mia carne con la tua carne inespressa/ E il tuo sangue non raccolto in vene/ nel mio sangue singhiozza”.
L’amore è visto come potenza che concede a due “oscuri infiniti” di incontrarsi ma anche talvolta come ostacolo al compiersi di un’individualità “Dovevo seguire sempre quella strada/ sepolta al fondo dell’istinto/ e la ignoravo…non sapevo quale fosse il mio cammino… dovetti spezzare tutti i legami/ restavo sola… nessuno mi fece prigioniera/ dominò la mia vita…” “Risalii piano smorta/ e mi distesi esausta vuota di tutto/ma ecco vennero ancora mani inaspettate /e parole preziose/e la poesia tutta mi pervase./Ora nella calma fine/vedo spalancato il mio destino”
La donna che risulta dalla poesia della Galli è una donna moderna che ha in sé forza e consapevolezza, una donna che osserva la realtà con occhi attenti e smagati, che si confronta con i grandi temi dell’esistenza, una donna che vive e supera la sua fragilità e attinge a una forte consapevolezza.
Il suo stile asciutto e sentenzioso, la paratassi che scandisce le strofe, la parola essenziale, tesa a rifiutare qualsiasi compromesso estetizzante sono le sue caratteristiche.
Nella sua lunga vita, trascorsa per lo più a Trieste e conclusa una ventina di anni fa, la Galli fa del suo amore per la poesia una sorta di milizia.
La parola poetica esprime nel contempo quello che siamo e tenta di riportare nella realtà quella dimensione di autenticità che spesso le manca. L’arte diventa coraggiosa lotta contro il cancro che ha avvolto il mondo. Le parole della Galli ci invitano a ritrovare nella parola autentica e nel profondo di noi una verità che la realtà, con il suo frastuono, ha in parte sommerso.

m.t.t.