Da Buenos Aires scendiamo alla volta della penisola di Valdes nella parte alta della Patagonia argentina.
Lì una guida dalla testa simile a quella di un guanaco ci porta a visitare la vasta penisola dove ci sono colonie sterminate di pinguini e di leoni marini. Almeno sessantasei mila pinguini e duemila leoni marini. C’è anche qualche sporadico elefante marino. La strada percorre l’interno della landa per duecento chilometri, duecento chilometri di strada sterrata che ci consentono di vedere molti animali allo stato brado (guanachi, lepri, armadilli). Poi facciamo sosta in un’Estancia (una sorta di agriturismo) in cui si allevano gigantesche pecore e si arrostiscono le carni a riverbero secondo l’uso argentino.
Oltre alla carne, il territorio offre ben poco. L’agricoltura è impraticabile per l’estrema scarsità di acqua e quasi tutto deve essere importato. Il vino proviene dal Nord dell’Argentina e così anche l’olio e le verdure. Nel pomeriggio la nostra guida e l’autista, un uomo del posto, dalla faccia rotonda e dall’aspetto decisamente indios, bevono il mate da un minuscolo recipiente che riempiono più volte di acqua. Dicono che fa bene ed è afrodisiaco. Ce lo offrono anche, sempre dalla stessa cannuccia. Ho notato che in Patagonia il concetto di pulizia è molto relativo. Abbiamo osservato bambini gattonare nelle toilette pubbliche, neonati lavati e cambiati nei lavandini pubblici, e via discorrendo. Penso che questo sia dovuto sia alla scarsità di acqua, ma anche a una certa rilassatezza e incuria dovuta al mix della popolazione spagnolo-indigena. D’altrove i Gaucios che vivono nelle vastissima zone semiaride dell’interno e si occupano del bestiame per tutto l’anno, in condizioni climatiche spesso proibitive, immagino non abbiano l’igiene come priorità.
Nel paese di Puerto Madryn, che a sorpresa si rivela una stazione balneare con un’enorme spiaggia piena di gente, fa parecchio caldo e ci sembra impossibile che tra due giorni saremo ai tre gradi di capo Horn, come profetizza il meteorologo di bordo. Eppure. Man mano che scendiamo di latitudine rapidamente il clima si raffredda e quando arriviamo a corteggiare la Terra del fuoco siamo sia ai maglioni e alle giacche a vento, se vogliamo mantenere la sana abitudine di fare una passeggiata sui ponti della nave.
Andiamo verso capo Horn e già prima dell’ imbocco del canale di Drake la nave comincia a rollare in tutte le possibili direzioni. Siamo nel mare più inquieto del mondo, ci dicono dal ponte di comando, nel braccio di mare dove si scontrano le acque dell’oceano Atlantico e quelle del Pacifico, che tanto Pacifico non è, e avvertono che man mano che ci avvicineremo al capo, a causa della differenza di fondale che passa bruscamente da 100 metri a 4000, si potranno formare onde anomale. A questo si aggiungono venti forti che raggiungono i 200 km alla ora, freddo cane visto che le acque sono prossime allo zero tanto che si possono vedere iceberg alla deriva. Gli iceberg per fortuna sono piccolini ma la navigazione intorno al capo, che circumnavighiamo per sport, perché la nostra direzione è il canale di Beagle e il porto di Ushuaia, non si rivela facile. Il mare inquieto fa saltare la nave. Pare di stare in un frullatore. Anche dopo aver superato lo scoglio a mezzaluna che segna la separazione tra i due oceani il mare resta agitato. Quella notte non è facile dormire.
Sbarcati a Ushuaia troviamo una ridente cittadina che sembra un paesino di montagna. Ci sono sullo sfondo ghiacciai e lo stile delle case è decisamente nordico. Salvo l’odore di mare e la gran quantità di uccelli marini sembra di stare in una valle alpina. Questa sensazione diventa più forte quando nel pomeriggio prendiamo il trenino “della fine del mondo” e ci inoltriamo nel parco della Terra del fuoco. Ci sono margheritine, tarassachi e un mix di fiori che ricordano le nostre valli alpine. Il treno è un modello della locomotiva che trasportava i carcerati a raccogliere legna.
Lo zelo dei carcerati ha reso purtroppo quella zona una sorta di foresta fantasma. Rimangono solo i moncherini degli alberi abbattuti.
La gente del luogo è un mix tra argentini, attirati specie negli ultimi anni da forti incentivi, e abitanti autoctoni che si riconoscono per la rotondità della faccia e il colorito olivastro. L’inquinamento è notevole. Qui, come in tutta l’Argentina la scarsa qualità della benzina e del diesel, rendono molto inquinate le strade ed è davvero strano trovare questa situazione in un luogo così estremo. Sotto questo aspetto rimpiango le strade del Brasile dove le auto utilizzavano l’alcool prodotto dalla canna da zucchero e nonostante fossero trafficatissime erano scarsamente inquinate.
Usciti dal porto di Ushuaia dopo una breve navigazione imbocchiamo un fiordo che ci consente di ammirare da vicino i ghiacciai che scendono fino al mare, immani cascate di ghiaccio, enormi lingue illuminate dal sole del tramonto. Uno spettacolo dalla bellezza davvero incredibile. Navighiamo nel canale di Ballenero, poi nel fiordo O Brien e infine nel canale Cockburn e nel canale Magdalena.
I fiordi cileni sono molto belli e li percorriamo per diversi giorni ammirando i ghiacciai che allungano le loro lingue enormi fino all’acqua mentre piccoli iceberg si staccano e vagano nel mare. La nave volteggia, si avvicina ai ghiacciai per farceli gustare meglio, per consentirci di godere quel panorama superbo. La montagna e il mare si uniscono.
Dai ponti il panorama a 360 gradi fa venire i brividi. Tutti sono col naso in su e anche l’equipaggio scappa in fretta dal lavoro in maniche corte per scattare qualche selfie con ghiacciaio da mostrare agli amici.
Uccelli piccolissimi e giocherelloni accompagnano la nostra navigazione mentre la nave beccheggia all’ impazzata nel canale di Magellano. Punta Arenas è la capitale della regione delle Magellano e dell’Antartide cilena. Ha circa 130. 000 abitanti ed è un vasto agglomerato urbano estremamente squallido. Case fatte di legno rivestito da lamiera, un panorama anni cinquanta con pochi negozi e situati tutti nella via principale e costruzioni anche pubbliche molto modeste. La ricchezza della regione è data dalla presenza di giacimenti di petrolio e di gas, ma gli abitanti del luogo non ne beneficiano e vorrebbero staccarsi dal Cile per poter avere delle agevolazioni nell’uso del gas che in una cittadina così fredda serve tantissimo. Una discreta parte della popolazione è di etnia croata ed è giunta qui in due momenti: alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento e dopo la seconda guerra mondiale. Sono rappresentati anche altri popoli europei. In generale le persone autoctone sono poche e ancora meno sono i discendenti delle antiche popolazioni, i Patagoni, nelle loro varie etnie, che vennero decimati nel momento in cui la loro società, che era organizzata in maniera molto semplice – vivevano cacciando i leoni marini e mangiandone la carne e allevando i guanaco, di cui utilizzavano tutto: pelle carne tendini, la pelle per fare dei tessuti, i tendini per avere dei fili robusti con cui assemblare i vari pezzi delle barche, le ossa per fare coltelli e altri utensili, – venne a contatto con i bianchi.
I Patagoni vivevano sul mare e per riscaldarsi e proteggersi dal vento che qui soffia sempre impetuoso accendevano fuochi nelle barche stesse. I primi esploratori, vedendo questi fuochi, chiamarono questa terra Terra dei fuochi.