Da: Socrate e le donne

(pp. 9-11)

Parte prima
Meno Uno

Alessandro: – Perché quando ci avviciniamo troppo, poi scappi?
Alice: – Perché ho paura di perderti.
Alessandro: – Non capisco la tua logica.
Alice: – Non è questione di logica. Non riesco a non agire così.
Alessandro: – Io sono meno complicato, Alice.
Alice: – Semplificato come tutti i maschietti.
Alessandro: – Non riusciamo a capirci, ho la sensazione che ti perderò di nuovo.
Alice: – Non è detto. Dipende da te.
Alessandro: – Che cosa dovrei fare?
Alice: – Se te lo dicessi non avrebbe valore. Sei tu che devi capire.

Hai detto: – Dobbiamo fare qualcosa. – Ma che cosa? Potremmo raccogliere fiori blu o camminare in un deserto, succhiarci il cuore o inumidirci le dita, costruire un cielo o sprofondare nella poltrona. – Dobbiamo fare qualcosa. – Ma che cosa? Potremmo invertire il corso delle stelle o ripetere una parte scontata, potremmo cavalcare le nuvole o ammuffire in un giorno di sole, potremmo ascoltare i grilli o sprofondare in una squallida dissonanza. – Dobbiamo fare qualcosa. – Qualcosa. Ma vorrei che gli occhi fossero di cristallo, che la pelle si lasciasse penetrare, che il mento ti tremasse un po’. – Dobbiamo fare qualcosa. – Proporrei di inventare la notte, di far tramontare il sole a mezzogiorno, di non sciacquarci la bocca con false promesse, di avvicinarci di sbieco e di scalarci fino in fondo, di raccogliere alghe e distillare succhi dal bosco, di frullare le stelle e di metterle nel freezer per l’inverno. Ascolta, le zagare profumano di più in un giorno di pioggia.

Uno

Mentre Alice passeggiava dalle parti dell’Acropoli, le si avvicinò un cane. Era fulvo, con due grandi orecchie e una coda arcuata che continuava ad agitare festosamente. Lei gli regalò qualche carezza sul muso affusolato e pensò che, se avesse voluto prendere un cane, quello sarebbe stato il suo cane. L’animale prese a camminarle a fianco. Il suo muso giallino le faceva strada per la via che saliva dal Dipilon al Partenone. Assieme passarono per l’Odos Apostolou Pavlou, tra la Pnice e l’Areopago, e poi ancora zigzagando ritornarono verso il teatro di Dioniso nel lato meridionale dell’Acropoli.
Non erano ancora le nove, ma faceva già caldo. Il cane si fermò per una sosta all’ombra e Alice sedette su un muretto. – Ti piace quest’Atene piena di traffico e di turisti, quest’Atene di souvenir e di copie, di cartoline e di falsi? gli domandò. Era chiaro che la conversazione non avrebbe dato molti frutti. L’animale si allontanò e mentre lei lo seguiva con lo sguardo si diresse verso i resti di un tempietto della zona dell’Agorà. Ben presto ricomparve in compagnia di altri due. Alice tirò un sospiro di sollievo. Temeva di averlo perso. Ripresero a vagabondare tra l’Agorà e il teatro. In fondo si ergeva l’Acropoli. La massa di pietra contornata dal verde sorgeva netta come un grosso molare e il tempietto di Athena Nike si delineava nitido. Il suo cane stava in mezzo agli altri due. Quando riprese la strada tutti tre la seguirono. Alice pensò che avevano fame. Entrò da un macellaio e comprò una buona razione di carne per tutti. Poi ritornò verso la casa di Irakis.

(omissis)

(pp. 24 – 27)

Sei

Il cane Sirmio (così l’aveva battezzato) la accompagnava ogni mattina mentre gironzolava per il Ceramicos, il quartiere dove abili artigiani un tempo creavano vasi e anfore in stile geometrico, splendidi con le loro figure nere e rosse. Passando lungo le vestigia delle grandi mura fatte costruire da Temistocle aveva osservato che nella zona archeologica c’era una vera e propria colonia di cani e s’era presa l’impegno di rifocillarli ogni mattina. Poi proseguiva col suo. Si fermavano a rinfrescarsi sotto un albero e Alice si metteva a leggergli qualcosa. – Senti che cosa racconta Platone!i gli diceva e apriva il mio librino. – Ogni azione non è di per sé né bella né brutta, dipende dal modo in cui viene compiuta, dallo scopo che ci si prefigge. Lo stesso vale per l’amore: non ogni amore è bello, ma solo quello che ci spinge ad amare in modo bello. Il cane guardava il suo piede e seguiva le ombre sul selciato. Alice continuava a leggereii: – L’amore che si accompagna ad Afrodite volgare è volgare e agisce come capita. Questo è l’eros proprio degli uomini che valgono poco. Innanzi tutto questi amano donne non meno che giovanetti. E poi amano i corpi più che le loro anime. E per giunta amano le persone che sono prive più possibile di intelligenza, mirando solamente a fare ciò di cui hanno voglia e non preoccupandosi affatto se agiscono in modo bello o no. Perciò avviene che agiscano come capita senza discriminare il bene dal male.
Alice carezzò il muso spennacchiato che la guardava e continuò a parlare: – Per l’uomo greco il concetto di bello si unisce a quello di bene: è il caloncagazon, il bello e buono. Il concetto di bello non ha un valore solo estetico, ma anche etico. Nella nostra società manca questo concetto. Anzi, potremmo paradossalmente affermare che va di moda compiacersi del brutto e del cattivo.
Gli aveva parlato con molta convinzione e il cane si alzò sulle zampe posteriori. Alice sorrise e gli passò una mano sul dorso: – Vedi, Sirmio, quando si scrive una storia ambientata nel mondo classico, la difficoltà maggiore è costituita dalla diversa mentalità. Per i greci l’amore con la A maiuscola è quello tra maschi. Il maschio è considerato più intelligente, più coraggioso, depositario di tutte le virtù spirituali; la donna invece è mera materialità. Quindi l’amore verso la donna è considerato di natura inferiore. I migliori amanti sono quelli che amano i maschi, amando per natura ciò che è più forte e più intelligente, dice Platoneiii.
Il cane non aveva una particolare opinione sull’argomento, ma forse s’era fatto per caso qualche maschietto. Scodinzolò a sproposito. – Noi avremmo qualche riserva da fare, – proseguì Alice, – ma, a parte il deciso maschilismo, da maschietti che hanno il potere e se lo godono, ho sempre pensato che il mondo greco avesse una visione giusta dell’amore. L’amore come piacere, l’amore come conoscenza. Poi sono venuti tempi peggiori; tempi in cui l’amore è stato considerato un dovere, oppure uno sport da praticare. Platone dicevaiv: I migliori non si innamorano di ragazzi se non quando cominciano ad avere intelligenza e questo si accompagna al momento in cui cominciano a mettere la barba. Si chiese a quanti anni crescesse la barba. Verso i quindici anni, più o meno. Certo per noi un quindicenne sarebbe considerato minorenne, quindi non un soggetto erotico. Noi condanneremmo ampiamente un rapporto di questo tipo. Era interessante però considerare che i greci si preoccupavano che il ragazzo “cominciasse ad avere intelligenza”: nel mondo antico dunque l’accento era posto anche sulla dimensione spirituale, un rapporto era valido se si realizzava tra persone pensanti, e veniva concepito persino come un rapporto di educazione, cosa che a noi potrebbe sembrare decisamente strano. Riprese a leggerev: Quando l’amante e il ragazzo amato mirano alla stessa cosa, il primo a servire il giovane che gli ha corrisposto l’amore e l’altro a prestare assistenza a chi lo rende sapiente e buono… Il cane le sbadigliò in faccia. Alice concluse carezzandolo: – Lontanissimo dal nostro modo di pensare, non trovi, Sirmio? Mescolare sesso e sapienza, educazione e sessualità. L’idea che i ragazzi nell’età della pubertà abbiano un amico più vecchio che funga non solo da educatore, ma anche da amante oggi ci lascia perplessi, ma a quel tempo era così… Il cane mostrava evidenti segni di irrequietezza. Ripresero a passeggiare. Fiancheggiarono sulla destra l’Agorà romana con la struttura a botteghe e magazzini e una vasta piazza delimitata da una doppia fila di colonne ioniche. Era il centro dei commerci nel tempo in cui Atene era divenuta romana. Poi scesero per Odos Adrianou e attraversarono la Plaka tra ristorantini e negozi di souvenir scegliendo le stradine meno affollate e i vicoli a scalinata. Atene era stata sotto la dominazione turca per quattrocento anni e lo dimostrava: negli edifici, in una certa incuria che serpeggiava dappertutto, nella clientelare burocrazia. Sirmio la seguiva, non troppo persuaso, nelle strade trafficate; lui preferiva svicolare tra i mozziconi di colonne e gli alberi, scegliendo le zone meno affollate dell’Atene antica.

(omissis)

Parte quarta
Uno

(omissis)

(pp. 76 – 78)

– Sai come sono gli uomini, sentono qualcosa, lo ripetono, si convincono delle loro stesse parole. La fama cresce. Non ha importanza se è lontana mille miglia dalla verità. Insomma temo che le idee di Aristofane circolino un po’ troppo a briglia sciolta ad Atene. Mi ha messo alla berlina con troppa intelligenza quel mascalzone.
Mirò gli carezzò i lunghi capelli. – Ti avevo avvertito. È pericoloso lasciare che la fama cresca senza metterle un freno. Bisogna vigilare. Contano anche le apparenze, non solo la sostanza. Tu ami la verità, lo so, ma gli uomini non vedono la verità. Vedono solo ombre.
– Mirò cara, non ricordarmi quella che è la tragedia dell’uomo. Sono già abbastanza di cattivo umore. Hai sentito ieri sera i nostri discorsi?
– Qualcosa. Ma vuoi che ti dica sinceramente quello che penso? Potevi evitare di tirarla tanto per le lunghe e mettere Aristofane alle strette con le tue argomentazioni. Sai che lui non è un uomo di spirito.
– Cosa avrei dovuto fare? Starmene zitto? Lui può crocifiggere chi vuole con le sue battute e invece io dovrei tacere? Sai di cosa discutevamo?
– Di letteratura, m’è sembrato.
– Discutevamo se un autore tragico possa essere anche comico o se si sia per natura portati a un genere o a un altro.
– Secondo me o si è portati alla tragedia o alla commedia.
– E invece no, secondo me chi ha del genio riesce in entrambi i campivi.
– I tuoi soliti paradossi, Socrate.
– Ne abbiamo discusso tutta la notte, e alla fine Aristofane si è addormentatovii.
– L’avrà fatto apposta per non dartela vinta. Lascialo perdere, è meglio.
– Vuoi che ti dimostri la mia tesi?
– Socrate, risparmiami, l’argomento non mi interessa affatto.
Socrate sorrise. Gli faceva sempre piacere discutere con una donna intelligente come Mirò. E anche con Aristofane, in fondo. Era un uomo acuto. Originale. Aveva delle idee fantasiose. Si sarebbe detto che pensava per immagini. Le sue polemiche si strutturavano in visioni fantastiche: uccelli, vespe, nuvoleviii. Certo, i loro rapporti si erano deteriorati negli ultimi tempi, e c’era una sorta di odio-amore tra loro, ma continuavano a cercarsi per discutere, per controbattere, per aggiungere qualcosa alle loro eterne polemiche. Ultimamente però era Aristofane a prevalere, ad avere la meglio e ad ottenere più consensi.
– Sarai più prudente? ripeté Mirò. C’è anche Filosseno…
– E chi è Filosseno?
– Un ambizioso, come tanti ad Atene. Anche lui ce l’ha con te.
– E perché mai?
– Perché gli fai ombra. E stai sulle palle anche a quelli che educano i giovani alla vecchia maniera: ignoranza, sberle, palestra.
– Sbaglio? Io penso soltanto che la ragione debba essere la nostra unica guida, che l’educazione come ogni altra cosa si debba basare sulla ragione.
– Giustissimo, amico mio, ma non è detto che sostenere la verità procuri vantaggi. Gli uomini, lo sai bene, non vedono la verità. Fissi alle loro opinioni temono chi osa dirla, la verità, e odiano chi vuole metterli in discussione.
– Io conto sugli amici. Ci sono tanti ad Atene che mi vogliono bene. Insorgerebbero se qualcuno osasse toccarmi.
– Metti in conto però che gli uomini sono per natura dei voltagabbana. Nessuno difende nessuno se ci vede anche solo un piccolo rischio.
– Mirò, non essere così pessimista.
– Socrate caro, io guardo la realtà e non mi faccio troppe illusioni.
– Non darti pensiero per me. Gli amici sono amici fidati.

(omissis)

(pp. 80-84)

Tre

Aspasia era la concubina più importante di Atene, visto che divideva il letto di Pericle, ma gestiva anche una scuola per cortigiane dove imparavano i dettami dell’ars amatoria le principali etere di Atene. Socrate frequentava volentieri la sua casa.
– Guarda chi sta entrando! – esclamò Teopompo ridendo, e indicò alle sue amiche Socrate che puntava diritto verso di loro. Aspasia si alzò dal letto dove stava impartendo qualche istruzione alle sue ragazze per salutare l’amico.
– Ti salutiamo, Socrate, cantilenarono in coro le quattro ragazze continuando i loro giochi.
– Fermati con noi, lo invitò Aspasia, indicando con un gesto della mano il letto.
Socrate sedette carezzando il seno scoperto di Teopompo. – Cosa stai facendo, dolce miele?
– Sto imparando, rispose Teopompo, continuando i suoi esercizi.
Aspasia sorrise.– Sono bambine, ne devono imparare di cose. Socrate caro, dato che sei qui, penso che ci potresti essere utile.
– In che senso? chiese Socrate stupito. Che cosa potrei fare di utile io, vecchio uomo impolverato, in mezzo a queste bellezze profumate?
– Mi è venuta un’idea. Ti potremmo testare. Potresti darci un piccolo saggio delle reazioni maschili. Così le bambine capirebbero meglio quello che stavo spiegando loro.
Socrate scosse il capo perplesso: – Credo che vi sarò di scarsa utilità. Ragazze, io non ho un obolo.
– Lo sappiamo. Non ti preoccupare, dimmi invece, che cosa faresti se ti trovassi davanti a una bella ragazza come Teopompo con i seni scoperti e una corona sui capelli?
– Cosa farei? Per un po’ converserei con lei. Le chiederei che cosa stima di più nella vita. Aspasia diede uno strattone a Teopompo che si sbellicava dalle risate. – Rispondi, mia cara. Che cosa stimi di più nella vita? Teopompo corrugò lievemente le sopracciglia meditabonda: – La bellezza e il denaro, rispose ridendo. Cos’altro?
– Teopompo, vuoi che ti dimostri che valgono molto poco? obiettò Socrate.
– Sì, dimostracelo, risposero in coro le quattro ragazze.
– Sarò sintetico. Tu, Aspasia, cosa temi di più?
Aspasia sedette vicino a lui e lo circondò con un braccio ingioiellato.– Caro Socrate, io temo quello che temono tutti: la vecchiaia, la povertà e la morte.
– Innanzitutto, cominciò a dire il filosofo, come ho tante volte dimostrato, – con te, Aspasia cara, ho conversato spesso, – la morte non è da temere. È indubbio che se lei c’è non ci siamo noi e viceversa. Come possiamo temere qualcosa che non incontreremo mai?
Teopompo rise a sproposito mentre cercava di togliergli il mantello.
– Che cosa mi vuoi fare, piccola? Devo ancora dimostrare che non si deve temere la povertà. Ma anche le altre ragazze l’avevano circondato e cominciavano a tempestargli la nuca di baci. – In questa posizione mi è difficile filosofare, protestò Socrate. Ho dimostrato molte teorie passeggiando o standomene sdraiato nei banchetti, ma disteso su un letto con quattro belle ragazze che mi baciano, questo non l’ho mai fatto. Temo che mi farete perdere la concentrazione, fanciulle. Sorrise poi, con un certo sforzo, riprese ad argomentare: – La povertà non è nostra nemica. Anzi, per certi aspetti potrebbe essere considerata un’amica. Ma subito si interruppe perché Teopompo stava scendendo nel sottombelico. – La ragazza ci sa fare, direi che è quasi perfetta, commentò Socrate dopo un po’, rivolto ad Aspasia.
– Sì, ma proprio perché è quasi perfetta, come anche tu riconosci, – Teopompo cara, non montarti la testa, ha detto “quasi” – ha un suo costo, un costo che tu non ti potresti permettere. Vedi dunque che la povertà non è un bene.
– Ma che ragionamenti sono questi, amica mia! Me l’hai messa tra le braccia tu per fare un esperimento. Evidentemente la mia povertà ha qualche forza.
Teopompo continuava imperterrita, ripassando mentalmente le lezioni che aveva imparato scrupolosamente.
– È una fanciulla deliziosa, mi sta facendo impazzire.
– Bene, disse Aspasia. L’esperimento è finito. Fermati, Teopompo.
– L’esperimento sarà anche finito, mugugnò Socrate, ma io non…
– Per proseguire occorrerebbero i quattrini che tu non hai. Come vedi avevo ragione io. La ricchezza è importante e la povertà non è un bene. Penso che sia il momento che tu prosegua nella tua passeggiata. Non vogliamo trattenerti.
– Aspasia cara, io sono stato il primo tra i greci ad affermare che “la natura femminile non è naturalmente inferiore a quella maschile salvo che manca di saggezza e forza fisica”ix. Non c’è greco che sia stato così gentile con le donne. E adesso guarda un po’ che riconoscenza! Teopompo cara… Per fortuna sono paziente. Volete che vi spieghi quanta importanza ha la pazienza nei giochi d’amore?
– Questo mi sembra un argomento interessante, acconsentì Aspasia già sulla soglia.
– Diccelo diccelo, garrirono le ragazze.
Socrate sorrise, e dall’uscio disse: – Per essere un buon amante un uomo deve saper aspettare, far crescere il desiderio nella donna e mantenerlo proporzionato al suo.
– È un’osservazione acuta, ammise Aspasia. Teopompo, annotatelo con cera e stilo!

Socrate si ritrovò all’aperto. Diede un’aggiustatina al mantello e si rimise a camminare mentre brontolava tra sé: Il denaro, ecco quello che vogliono gli uomini. Solo il denaro. Ma il denaro è ben poca cosa. Com’è triste constatare i limiti della mente umana. L’ombra di quest’albero nessuno me la può togliere. Non potrei goderne di più se fossi ricco. Non potrei rinfrescarmi di più se fosse mio. E le terme? E la palestra? Sono servizi gratuiti che la polis offre a qualsiasi cittadino. E la vista di questi monumenti? Chi mi potrebbe impedire di goderne? E i banchetti a cui vengo invitato perché so conversare piacevolmente e in modo intelligente? E gli spettacoli di teatro? E la luce delle stelle? E il panorama che posso vedere dal Licabetto? Chi mi potrebbe sottrarre tutti questi piaceri? E il bacio di un ragazzo o di una donna che io sia riuscito a far innamorare? Le cose più belle della vita non hanno prezzo. Non serve il denaro per acquistarle. Con il denaro si acquistano solo gli scarti del mondo, i beni senza valore. Perché darsi tanto da fare per inseguirli? Perché vendere l’anima per averli? Gli unici veri beni che andrebbero sempre perseguiti sono la libertà, la serenità, la forza, l’amicizia degli uomini migliori. Solo questi, credo.