ALICE: Mi sei stato di grande aiuto, non so come avrei fatto senza di te.
GUIDO: Dovere di medico e poi anche il piacere di averti conosciuta.
ALICE: Qui ai confini del mondo.
GUIDO: Ci si sente proprio fuori di tutto qua a Samo.
ALICE: Pensavo ho bisogno di tagliare, di dimenticare, di mettere una pietra, che dico una pietra, una montagna di pietre, e invece arrivo qua e crollo.
GUIDO: Sarà stata la stanchezza del viaggio.
ALICE: Non so. Comunque mi hai aiutato.
GUIDO: Abbiamo trascorso una piacevole serata.
ALICE: A mettermi impacchi e a farmi bere tisane.
GUIDO: Abbiamo anche chiacchierato e non solo.
ALICE: Sono stata così noiosa e anche, scusa, poi sul più bello. Ma non riesco proprio a non pensare.
GUIDO: Dicono chiodo schiaccia chiodo.
ALICE: Non ci riesco. Se non ho la testa sgombra non riesco proprio.
GUIDO: E se l’avessi?
ALICE: Forse. Chissà. Sei simpatico. Diciamo pure che mi piaci ma.
GUIDO: Non hai ancora dimenticato.
ALICE: E così ho passato la notte a raccontarti di lui.
GUIDO: E mi sa che non hai ancora finito.
ALICE: Come hai capito?
GUIDO: Muori dalla voglia di ricominciare a parlare.
ALICE: Prendimi qualcosa da bere e mettiamoci qui.
GUIDO: Agli ordini.
…
GUIDO: Eccomi… bevi quest’intruglio. È una specialità del luogo, afrodisiaca.
ALICE: Non credo funzioni con me.
GUIDO: Non esserne troppo sicura.
ALICE: E scommetto neanche con te. Dopo che ti avrò raccontato per ore. Sai perché ti racconto la mia storia?
GUIDO: Perché ci siamo trovati vicini di tavola, perché parlavo italiano, perché sono gentile.
ALICE: No. Perché vivi a Rio e sono sicura che non ci rivedremo più.
GUIDO: E chi lo dice? Una puntatina a Siena potrei sempre farla quest’autunno.
ALICE: Non credo che ci rivedremo e questo mi piace. A Siena non racconterei a nessuno quello che mi è successo.
GUIDO: E perché? È una storia come tante.
ALICE: Non mi piacerebbe che si sapesse in giro.
GUIDO: Quindi sono il tuo confidente perfetto. Avrei preferito essere l’amante perfetto.
ALICE: Vedremo. Intanto sei il mio confidente perfetto.
GUIDO: Dunque, prosegui. Sono tutto orecchi.
ALICE: Ci vedevano ogni giorno sul treno, come ti dicevo.
GUIDO: Ogni giorno?
ALICE: Per forza lui. Lui lavorava a Monteroni D’Arbia e io a Buonconvento. Saliva per il brevissimo tratto e poi scendeva. Era diventato una specie di appuntamento. Ogni volta ci raccontavamo qualcosa, un pezzettino di noi, solo un pezzettino perché il tempo era molto breve. Non abbiamo mai finito un discorso. Poi mi tormentavo per quello che avevo detto o non avevo detto, mi sembrava che così a bocconi si stracapissero le cose.
GUIDO: Effettivamente vi stracapivate in abbondanza. Ma perché non vi vedevate con calma?
ALICE: C’era il lavoro la famiglia non avevamo tempo e poi eravamo degli estranei che avevano in comune solo quel pezzettino di strada.
GUIDO: Così siete andati avanti parecchio?
ALICE: Mesi.
GUIDO: Mesi? Senza capire, senza conoscervi, senza neanche.
ALICE: Senza, appunto.
GUIDO: Però tu ti sei.
ALICE: Forse.
GUIDO: Sicuro.
ALICE: Sai dov’è il problema?
GUIDO: No.
ALICE: È stata una forma di conoscenza sbagliata. Ha creato in me idee che non corrispondevano al reale. Insomma ho immaginato che fosse come lo immaginavo io.
GUIDO: Succede spesso, anche in una conoscenza normale. Si sbaglia di giudicare, si giudica una persona diversa da com’è.
ALICE: Certo, succede. Ma in questo caso era sbagliato il rituale. Ogni giorno mi entrava dentro un pezzetto di lui. Quando me ne sono accorta era troppo tardi.
GUIDO: Ma tu cosa cercavi? Eri felice della tua vita?
ALICE: Felice? Serena diciamo. Ho un buon lavoro un marito una figlia, no, non credo che cercassi proprio nulla.
GUIDO: È strano però. Uno non mette al centro della sua esistenza uno sconosciuto se non sente la mancanza di qualcosa.
ALICE: Ti assicuro che è così. Avrei avuto mille altre occasioni e mai. Ma questo sconosciuto era qualcosa di diverso. Aveva delle cose di me. Era come un pezzo di me stessa.
GUIDO: Non ti seguo.
ALICE: Neanch’io capisco bene. Diciamo che l’ho avvertito come uno della mia stessa razza. Non mi era mai successo prima.
GUIDO: E cos’aveva di particolare?
ALICE: Non te lo saprei spiegare. Per dire il vero era completamente diverso da me.
GUIDO: Non avevi detto che era simile?
ALICE: Simile e diverso allo stesso tempo. Avevo per così dire l’impressione che insieme saremmo stati capaci di scendere molto in fondo dentro di noi.
GUIDO: Conversando in treno?
ALICE: Eh…
GUIDO: In quei pochi minuti?
ALICE: Sì.
GUIDO: Però non avete fatto nulla. Perché? Potevate scendere un giorno assieme, defilarvi, darvi per dispersi.
ALICE: Lui doveva lavorare e io andavo alla radio.
GUIDO: Tutti sanno che si può prendere un giorno di ferie.
ALICE: Non l’abbiamo mai fatto.
GUIDO: Come mai?
ALICE: Non lo so, mi sa che eravamo entrambi un po’ strani.
GUIDO: E poi?
ALICE: Poi niente. A un certo punto non l’ho più visto.
GUIDO: Non aveva un recapito?
ALICE: Il nostro accordo era questo: ci saremmo confidati tutto solo a condizione di non sapere veramente chi eravamo.
GUIDO: Che storia balorda.
ALICE: Dall’inizio abbiamo detto che quando uno dei due si sarebbe stufato sarebbe sparito.
GUIDO: Ma la strada per il lavoro era quella.
ALICE: Si può scegliere un altro treno o la macchina. Credo che abbia optato per l’auto.
GUIDO: Magari sta male.
ALICE: No no. È sparito, lo so con certezza, e me l’aspettavo. L’ho capito l’ultima volta.
GUIDO: Da che cosa?
ALICE: Dal fatto che è stata la volta più bella.