Prima del botto

Oggi si dice spesso che il lavoro manca, ma in realtà lo potremmo affermare solo se ci trovassimo in una società ben funzionante che non fa mancare servizi, che offre a tutti i cittadini il miglior confort. Non è la condizione di tutte o quasi tutte le società occidentali dove le quotidiane lamentele degli utenti per le lungaggini, i disservizi, le attese infinite sono la palese dimostrazione che molto si potrebbe ottimizzare. Manca però una volontà in questo senso, manca una programmazione, mancano delle menti che pilotino in una direzione o nell’altra le forze lavoro. Perché non ci sono? Perché tutto è lasciato all’improvvisazione e all’iniziativa, spesso miope, dell’individuo?
Siamo una società che fa della libertà la sua bandiera, del liberismo in campo economico il suo credo, del profitto e del danaro il suo valore. Ora è evidente che la somma di molti egoismi non produrrà mai il bene comune, che una società di pochi che detengono una grande ricchezza e la esibiscono non produce felicità, che la libertà individuale, seppure sia un valore importantissimo, tende a degenerare in licenza ed arbitrio a danno degli altri, qualora non sia mitigata da norme morali che la limitino.
All’educazione morale la nostra società devolve pochissime forze, l’educazione intellettuale, anch’essa carente, ma comunque capillarmente diffusa, da sola può essere di danno alla società più che di beneficio perché produce maggiori capacità che, se non indirizzate al bene da un’educazione che in qualche modo tenga a freno la naturale malvagità umana, vengono devolute al crimine.
Il lavoro si crea e si produce per realizzare se stessi, per dare un contributo alla società in cui viviamo, per migliorare globalmente il livello di benessere. In una società di uomini consumatori che lavorano solo per produrre danaro da consumare a oltranza in modo demenziale e parossistico, intasando di beni-rifiuto la natura, diventata ormai una discarica a cielo aperto degli entusiasmi di ieri subito passati di moda, in una società dove tutti si sentono vittime se frustrati nella loro aspirazione totalizzante di consumatori, in questa società dove il male dilaga perché non c’è la felicità che rende in qualche modo migliori gli uomini, si dovrebbe attuare una rivoluzione all’interno del concetto stesso di lavoro.
Lavorare meno lavorare tutti, lo slogan degli anni 70 del Novecento, aveva un suo senso insano e contestabile. Innanzitutto si potrebbe osservare che in nessuna società mai c’è stata una partecipazione di tutti al mondo del lavoro. Le società sono generalmente strutturate intorno a diversi compiti e alcune società, anche molto avanzate come quelle del mondo classico, consentivano a un’ampia fetta di popolazione di dedicarsi a un otium che era al contempo impegno nei confronti della collettività e libertà da ogni costrizione. Costringere tutti a lavorare che risultato può avere? Una produzione infinita di merci che deve essere per forza smaltita, consumata e che intasa il mondo. A questo si aggiunge l’evidente considerazione che da tutte le parti del mondo l’idea del consumo apparve allettante e l’idea di produzione a basso costo normale. Se nella Malaysia un operaio allegramente tesse e produce per 300 dollari al mese bei vestiti, che poi le multinazionali smerciano in tutto il mondo guadagnandoci su in modo mostruoso, è evidente che il lavoro dell’operaio occidentale, che per vivere avrebbe bisogno di molto più di 300 dollari perché in Occidente la vita è più cara e non ha famiglie numerose che mutuamente si sostengano, si ribella a questo globalismo che lo penalizza.
L’uomo occidentale non si libera del concetto “consumo dunque sono” che gli è stato inoculato con la nascita e fa parte ormai del suo dna ma cerca disperatamente o di acquistare sottoprodotti che abbiano l’appartenenza dei beni a cui aspira ( e riempie le discariche della terra di rifiuti perché la durata degli oggetti è minima e l’attuale consumatore si sente tanto più in alto nella scala sociale quanto più può cambiare in fretta e dismettere).
Nel non essere libero si crede libero o perlomeno cerca di dare sollievo alla sua fondamentale ferita irrimarginabile che il postcapitalismo che domina il mondo gli ha inferto. Se non ci riesce ci sono il gatto & la volpe di turno, le amiche banche, che gli offrono aiuto e gli regalano un cappio per strangolarsi. “Prima decidi cosa ti piace, poi ti aiuteremo noi a pagarlo”.
Constatare che un numero così ingente di persone cadono in un così grossolano tranello è la prova di quanto funzioni male la nostra società di schiavi illusi.
Come uscire da queste strettoie? come rendere più felici e realizzati gli individui che affollano il mondo?
Una buona programmazione, una società ben gestita, ben amministrata, che si regga su qualche valore morale e non faccia del danaro e dell’egoismo il suo unico fine potrebbero essere una soluzione.
Ma chi si impegnerà in questo senso? Ci sarà qualcuno che si impegnerà? Oppure lasceremo che la storia vada per i suoi insani percorsi e con montagne russe e botti ci rovesci di tragedia in tragedia in mezzo all’insensatezza e al dolore?

( m.t.t.)