Il nostro mondo, il mondo delle disuguaglianze in quantità, fonda uno dei suoi cardini di pensiero sul concetto che siamo tutti uguali. Idea nata al tempo della rivoluzione francese. Liberté, égualité, fraternité inneggiavano i rivoluzionari mentre la ghigliottina faceva cadere le teste. Ci sono però degli equivoci. Si inizia con l’equivocare le cause della rivoluzione. Si ritiene, erroneamente, che la povertà diffusa, le disuguaglianze marcate e lo sfarzo ostentato dai regnanti ne siano state la ragione. Ma, in fondo, questa situazione era presente anche nei decenni precedenti. Anche un secolo prima c’erano classi di nullafacenti, di privilegiati e ampie masse di miserabili, eppure in quei periodi la rivoluzione non è scoppiata. Quale elemento dunque ha funto da detonatore? Negli anni precedenti la rivoluzione di nuovo c’era solo un discreto miglioramento nel tenore di vita di alcuni settori della società e la conseguente nascita di più o meno fondate speranze. Molte persone si erano illuse di modificare la loro condizione, di salire di grado, di migliorare la loro vita, ma avevano trovato l’ascensore sociale stoppato. Avevano acquisito competenze inutili, avevano dei saperi che non potevamo essere spesi in alcun modo. E c’era la massa, quella che in definitiva deve andare in piazza perché qualcosa cambi – e perché questo accada deve avere parecchia fame, – che allora, come anche in passato, stava male, ma in quel frangente trovò qualcuno che intendeva farsi portavoce dei suoi bisogni (visto che in altro modo non poteva far fruttare i suoi studi e le sue competenze). Le condizioni quindi si produssero, e nacque la rivoluzione che, in una strage di innocenti e di colpevoli, fece piazza pulita della società precedente e delle idee di un tempo. Tutto nel bene e nel male cambiò. Nacquero idee nuove come la libertà, la fratellanza e l’uguaglianza, tanto inneggiate fino ai giorni nostri, ma sotto certi aspetti poco sostenibili.
Che gli uomini non siano uguali è cosa evidente e naturale. In natura domina la fantasia e la diversità.
Si pensi ai diversi tipi di piante, di animali, ai loro diversissimi costumi, alla stranezza dei comportamenti di certe specie. Il mondo animale e vegetale sono un inno alla fantasia della creazione. Perché solo l’animale uomo, anzi tutti gli animali uomini delle diverse razze, dovrebbero essere uguali tra loro?
Se per uguaglianza si intende “uguale dignità” certamente ognuno deve esser rispettato, – d’altronde anche animali e piante hanno diritto ad analogo rispetto, – ma da questo a dire che tutti sono uguali e immaginare che i costumi degli uni siano adatti ad altri è una vera assurdità. È come voler insegnare agli uccelli migratori a starsene fermi, alle specie monogame la poligamia, a certi animali la collaborazione paterna alla gestione del comune nascituro, sostituendo il disinteresse che alcune specie dimostrano. Anche gli uomini sono diversi, le varie razze non si somigliano affatto, non perché abbiano minore o maggiore dignità ma perché è normale che un diverso corso storico abbia prodotto una diversa visione della vita e che le idee, i principi, la morale si siano consolidati in modo diverso.
Non si riescono ad inserire nella società australiana gli aborigeni non perché non possiedano doti, anzi, sono abilissimi a suonare e dipingere e sono molto più bravi di noi a cacciare, ma perché hanno un concetto del tempo diverso e non accettano di esser subordinati a un ritmo di lavoro.
I popoli nomadi sono popoli straordinari, che riescono a vivere in condizioni difficilissime e in luoghi dove noi probabilmente non riusciremmo a sopravvivere, ma hanno una visione della vita che li porta a porre la libertà di scegliere dove collocare la loro sede al primo posto, caratteristica che li rende inadatti a una vita stanziale.
Solo l’ingenuità dell’Occidente può credere che l’unico tipo di vita proponibile e auspicabile per tutti sia il modello di vita occidentale. Ma perché mai un tipo di vita, che peraltro non soddisfa neppure chi si trova a viverla per eredità storica, dovrebbe essere estesa a tutti? Terzani già negli anni 90 denunciò i danni che il capitalismo occidentale arrecava nei paesi asiatici, estendendo il suo modello di vita a società fondate su altri valori e scambiando la crescita del pil di un paese per un miglioramento della vita dei suoi abitanti. Forse le parole di Terzani “il capitalismo ha strappato il sorriso all’Asia” sono eccessive, perché alcuni ritorni positivi ci sono anche stati, però non sono del tutto errate, e soprattutto evidenziano il fatto, facilmente constatabile da tutti, che maggior benessere non è equivalente a maggiore felicità.
Negli stati arabi, negli emirati e nell’Oman c’è un beneauspicante e forse presuntuoso “ministero della felicità” e si tiene conto della qualità della vita come parametro di giudizio. Poi non è detto che tutti effettivamente siano felici. Comunque andrebbe considerato questo parametro. Guardando i cittadini europei che passeggiano a tutto si può pensare tranne che a uomini felici. Fretta e disagio, legati alla triste condizione per cui il tempo dell’uomo viene mercificato, anzi l’uomo stesso mercifica se stesso, offrendosi al mercato come oggetto, non sono certo condizioni che favoriscono la felicità. Eppure il tempo libero c’è, ma è vanificato da attività inafferenti, quasi a volerlo annullare. Facce scure anche nei migranti che, una volta arrivati a destinazione, non hanno certo l’espressione distesa che si vede spesso nei loro paesi di origine.
Sappiamo che le città non a misura d’uomo andrebbero abbattute e i luoghi urbani andrebbero ridisegnati dando più spazio al verde. Grattacieli rivestiti di vegetazione come a Singapore per combattere il caldo e l’inquinamento, parchi urbani, ampie infrastrutture efficienti che facciano dimenticare l’uso dell’automobile. Insomma città più green e più smart. In fondo molti popoli in condizioni climatiche peggiori delle nostre lo realizzano mentre noi, vecchia Europa, vecchia Italia presuntuosa non riusciamo che a intorcolarci nei nostri problemi senza trovare soluzioni. In altre parti del mondo nell’ultimo decennio c’è stata una crescita vertiginosa ed esponenziale, la Cina solo settant’anni fa era uno stato dalla struttura quasi medioevale e adesso è il secondo stato per potenza e il primo in prospettiva, visto il suo sviluppo demografico e la crescita in ogni campo, oltre all’attenzione e all’intelligenza che mette nel gestire il bene pubblico e nel promuovere l’eccellenza in ogni settore.
Gli emirati solo una cinquantina di anni fa erano una scatola di sabbia ed ora sono all’avanguardia per livello di vita, ricettività turistica e infrastrutture. Riservano grande cura all’educazione dei giovani invitando ad insegnare nelle loro università i migliori insegnanti e scienziati. Come noi, vero? che non cessiamo di mandare messaggi nichilisti ai giovani e creiamo schiere di adolescenti che si trastullano tra uno scarso impegno di studi e un ozio depresso. Follie di un suicidio annunciato.
Ma per continuare il discorso dei tre ormai obsoleti principi che la rivoluzione francese inventò, il concetto di libertà, anch’esso molto sbandierato fino ai nostri giorni, soprattutto a partire dal ‘68 – che per certi aspetti lo scelse come sua bandiera,- è anch’esso molto discutibile. Abbiamo tutti davanti agli occhi gli effetti devastanti del suo abuso, in ogni campo e in ogni settore. Le coercizioni del passato erano certe eccessive, ma il lassismo scolastico ha prodotto presunzione e incultura, il concetto di libertà individuale non tenuta a freno e moderata da una salda coscienza morale ha prodotto individui che calpestano gli altri per affermarsi e che sono pronti a non tener conto neppure degli affetti più naturali come l’amore per i figli, pur di raggiungere i fini che si sono prefissi. Certo, succedeva anche in passato e succede anche in altri contesti ma, statistiche alla mano, mi sembra che questi fenomeni siano oggi particolarmente sviluppati. Quanto al concetto di fratellanza, curiosamente nato in un momento storico in cui la ghigliottina tagliava teste a gogo’, mi sembra che gli orrori delle guerre che hanno insanguinato il Novecento ne metta in evidenza l’utopica e pericolosa ingenuità.
(m.t.t.)