Lettera da Aquileia (3)

resti museo aquileia

Ma eravamo stati noi, imprudenti, ad esporci ai loro attacchi. Chi può aggredire una società sana, che ha solide basi di governo, che crede in se stessa? Chi può distruggere un impero che ha confini sicuri ed educa i suoi figli al rispetto e al coraggio?
Certo, a un certo punto noi stessi ci trovammo ad aver bisogno dei barbari. I nostri costumi con il benessere si erano rilassati e corrotti. Le nostre donne erano tutte dedite a una vita brillante, i figli erano sempre meno numerosi, i soldati non erano più quelli di un tempo. Assoldammo i barbari perché erano validi soldati e pensammo che, concedendo loro dei vantaggi – non pagare le tasse, vivere come foederati nei territori al confine, ma pur sempre nella compagine dell’impero – li avremmo avuti alleati fedeli. Così abbiamo fatto coi Goti. Non sempre con successo, non sempre correttamente.
Ma, caro Marco, tu sai qual è il mio pensiero, sono un vecchio moralista e sono convinto che se noi non avessimo lasciato che le ambizioni personali degli imperatori o sedicenti tali dilapidassero le casse dello stato, se non avessimo ceduto sull’educazione delle giovani generazioni, se non avessimo permesso ai nostri figli di crescere in ambienti troppo comodi e rilassati, queste popolazioni, con cui da secoli dobbiamo confrontarci, le avremmo controllate. Certo, gli ultimi i tempi hanno visto migrazioni più forti, non le solite scorrerie poco preoccupanti o gli scontri a cui seguiva una resa scontata e la disperata volontà di masse ingenti di cercare protezione all’interno dell’impero.
Alle volte sai, – ma è solo un attimo, – nelle notti in cui non riesco a dormire, mi chiedo se questi barbari siano proprio come appaiono, se cerchino la nostra protezione o vogliano distruggerci, se vogliano entrare nei nostri confini per far implodere dall’interno l’impero, oppure non ci sia alcun piano prestabilito nelle loro azioni. Chissà…e mi rigiro nel letto. Si sveglia mia moglie e sorride delle mie idee e dice che sono poveracci sbandati, che sono nostri fratelli, umanità dolente che dobbiamo aiutare, e si alza per portare una tazza di latte al visigoto che abbiamo a casa, che si sveglia all’alba e si dà alle sue pratiche rituali e fa ginnastica.
Lo guardo e mi pare un buon diavolo, la sua ferita si sta rimarginando, non credo che abbia neppure vent’anni, ringrazia sempre con grandi sorrisi, ha detto nella sua lingua – che mia moglie capisce un po’– che tra poco partirà per raggiungere i suoi compagni.
m.t.t. (continua)