Tra i rapporti che la nostra società occidentale ha ridiscusso e trasformato in modo profondo e sostanziale è il rapporto padre-figlio, rapporto da sempre articolato su una forte conflittualità, mitigata però dall’affetto e da un attaccamento viscerale. Negli ultimi decenni questo rapporto, per il mutare veloce della società e per un certo ammorbidimento dei costumi ha avuto delle trasformazioni su cui hanno appuntato la loro attenzione diversi scrittori, tra cui Pietro Spirito.
I tredici racconti che compongono “Se fossi padre”(Pagliai, 2018, pp 114) affrontano con la maestria stilistica e la profondità di cui l’autore ha dato prova in molte altre sue opere questo tema delicato. È presente una vasta casistica di situazioni e di personaggi, dal padre troppo invadente al figlio troppo assente, dal padre che ha commesso qualche colpa che si è fissata in modo indelebile nell’immaginario del figlio ancora bambino ai rimorsi di un figlio che è stato troppo assente e che rivede la figura del padre morto sui finestrini del treno che lo portano al suo funerale. Si va dal figlio di un padre famoso che per tutta la vita in qualche modo ha sempre cercato di emulare il genitore, senza peraltro mai riuscirci, e che, per far breccia e ottenere la sua approvazione, arriva persino a macchiarsi di plagio, con la conseguenza di essere scoperto e denunciato e di far sprofondare il genitore nel più cupo sconforto. C’è l’uomo che mentre telefona all’amante perde di vista il figlio piccolo e poi deve scontare la sua colpa nei momenti terribili della ricerca, per fortuna a lieto fine, del figlio che non riesce più a trovare, o il padre che per molti anni crede che il figlio frequenti l’Università e scopre solo dopo il suo suicidio che non era vero affatto, che non aveva mai frequentato gli studi. “Io non so niente di mio figlio. Quando mia moglie è morta lui aveva dodici anni. L’ho cresciuto, ho cercato di educarlo, gli ho dato tutto quello che potevo dargli, da quando sono in pensione l’ho sempre seguito passo passo, era un ragazzo normale, come tanti, ha voluto iscriversi all’università, facoltà di giurisprudenza per fare il magistrato, cercare la verità, tre ore di viaggio in treno andata e ritorno, e questo per cinque anni. Studiava e dava esami, mi faceva vedere il libretto con i voti, tutti trenta. E adesso mi dite che non è vero niente, gli avevo comprato anche il computer portatile, un mucchio di soldi, così diceva che studiava in treno, andata e ritorno”.
Sconosciuti dunque, sconosciuti che si amano e soffrono sono i personaggi di questo denso libro che ci proietta i fantasmi, le ossessioni dei genitori d’oggi che vedono i loro figli crescere e sanno e non sanno mai abbastanza di loro. Una casistica articolata e varia che si lascia assaporare attraverso la narrazione sempre sapiente e misurata. “La sera guardavano la televisione, madre e figlio, nel salotto del piano terra. Sceneggiati, vecchi film, la solita pubblicità, i varietà. Il senso diffuso di benessere, il controllo delle cose attraverso lo schermo. L’ostentazione della ricchezza, la legittimazione della cultura del possesso, l’esaltazione dell’avere. Il nostro tempo. Successo, carriere, denaro. Siamo qui per questo. Ci vogliono così.
Lei elargiva brevi commenti, sempre quelli, un rosario di frasi inanellate intorno all’unico, costante rovello. Hai più di quarant’anni, non hai un lavoro. Da quando papà è morto e abbiamo chiuso il negozio non hai un lavoro. Quello che è rimasto ci basta appena, vedi come costa tutto. Prezzi raddoppiati, i pagamenti, le mie medicine. E tu sempre davanti al computer. È cosi per tutti, mamma. Guardati intorno sono le multinazionali, la cricca imperialistica, le banche. Paghi per dare a loro i tuoi soldi. È questo, capisci. Gli dobbiamo anche dire grazie”. Così il quarantenne disoccupato con il mito del padre finisce col diventare un terrorista nel racconto “Bandiere rosse”.
Pietro Spirito in questo libro ha toccato magistralmente i temi più scottanti della nostra società, senza dare giudizi, ma presentandoci i personaggi nella loro realtà e nei loro tragici vissuti.
Pietro Spirito, giornalista alle pagine culturali de Il piccolo e scrittore, autore di molti libri di archeologia marina, editi da Guanda e altre opere tra cui ricordiamo “Speravamo di più” e “Il bene che resta”, romanzi che si confrontano con la storia e i lasciti che ci sono rimasti, non si esime in questa raccolta di racconti dall’affrontare uno dei temi più attuali della nostra società, coniugandolo in tutte le possibili variazioni che ci propongono un quadro di una società dove lo scontro generazionale è marcato e si pone, – e credo si porrà ancora più fortemente nel futuro,– in modo spesso drammatico.
m.t.t.