“Linuccia Saba e il cinema, un sogno negato. Due soggetti ritrovati” con un saggio introduttivo di Marina Silvestri (pubblicato dall’Eut, pagg 109, euro 12) offre agli appassionati di storia e letteratura triestina interessanti squarci su un mondo, quello in cui visse Saba, e su una figura, quella di Linuccia, che per molti aspetti ci fa pensare a certi personaggi di grande fascino e personalità come Anna Fano o Anita Pittoni, personalità femminili concepibili solo nell’ambiente triestino dell’epoca. Linuccia nata da un Saba ventottenne che non aveva grande voglia di diventare padre, fu data a balia e questa situazione allontanò Lina e Umberto che ritornarono ciascuno a vivere nella propria famiglia, in seguito Lina si innamorò di un giovane e riprese Linuccia con sé mentre Saba viveva un periodo di intensa attività creativa e scriveva le prime raccolte “Poesie” e “Trieste e una donna”. I due poi si riconciliarono e ritornarono vivere insieme. Il rapporto tra Umberto e la figlia nel complesso fu difficile, come spesso lo è nel caso di molti padri artisti che con la loro personalità spigolosa, narcisistica ed eccessiva tendono a tarpare le ali dei proprio figli. Nel caso di Linuccia, Saba si oppose all’idea che proseguisse gli studi (si diplomò tardi mentre già lavorava già come impiegata), non incoraggiò mai la sua vena scrittoria (collaborava con Levi alla stesura di testi e scriveva sotto pseudonimo articoli che Saba definì di “gastronomia letteraria” e quando Lionello Zorn Giorni chiese la sua mano diede in escandescenze e negò il suo consenso. Insomma si potrebbe pensare che il destino di Linuccia fosse segnato dalla presenza massiccia e condizionante di questo ingombrante padre, ma in realtà non fu esattamente così. Anche Linuccia era dotata di una personalità forte e marcata che trapela dalle lettere che Marina Silvestri analizza con grande ampiezza e sensibilità ricostruendo nei dettagli la sua vita di moglie di Lionello, di amante di Carlo Levi, di donna che ebbe moltissime conoscenze nel campo della letteratura e del cinema e prese molte importanti decisioni riguardo alle opere del padre che pubblicò dopo la sua morte. La sua casa in via Due Macelli a Roma divenne un punto di riferimento imprescindibile per gli intellettuale dell’epoca come il caffe Greco e altri luoghi che furono punto di incontro e frequentazione e misero in contatto molti scrittori e pittori. Linuccia in quell’ambiente visse e fu un personaggio di spicco. Fu lei nel 75 a costituire per disposizione testamentaria di Carlo Levi una fondazione per promuovere, diffondere e conservare le opere di Carlo e il vastissimo materiale archivistico costituito da lettere dattiloscritti e manoscritti e la presiedette fino alla morte. Era stata lei negli anni precedenti dopo la scomparsa del padre a dare alle stampe un testo del poeta “Cosa rimane da fare alla poesia” che era rimasto a lungo inedito e pubblicò anche, postuma, l’opera di Saba in prosa “Ernesto”. Quindi Linuccia, lungi dall’essere solo una donna vissuta all’ombra di grandi, dimostrò nella sua vita di riuscire a ritagliare per sé, nei limiti del possibile, ampie zone di vita, raggiungendo degli equilibri anche difficili ma fondamentalmente gestiti abilmente e con una buona dose di equilibrio, se pensiamo che Lionello e Carlo erano entrambi presenti alla morte di Saba e la loro amicizia non fu per nulla compromessa nonostante entrambi rimanessero saldamente presenti nella vita di Linuccia. Linuccia avrebbe voluto forse avere anche un suo posto nel mondo letterario o meglio in quello del cinema a cui si era avvicinata fin da giovane (Saba scriveva slogan e versi per pubblicizzare film e uno zio materno di Linuccia, Enrico Wölfler era un grande produttore di cinema, il marito Lionello fu sceneggiatore, lei stessa collaborò per la realizzazione cinematografica del romanzo di Levi “Cristo si è fermato a Eboli” che riuscì a far realizzare solo dopo la morte di Carlo. Ma di suo non lasciò quasi nulla in questo campo. Preziose quindi sono le due sceneggiature trovate nel fondo Anna Gruber, custodito nella biblioteca civica di Trieste. “Il triangolo della virtù” e “Una storia milanese” dimostrano la capacità di Linuccia nello sceneggiare i fatti e la sua abilità nei colpi di scena. Non sono certo soggetti eccezionali e risultano forse per i nostri gusti un po’ datati, ma il principale merito di questa pubblicazione preziosa è aver tratteggiato con una profondità notevole la figura di Linuccia ripercorrendo tutti gli indizi che nascono da lettere private raccolte nell’archivio Anna Benco che ci danno indicazioni sulla sua esistenza ma soprattutto sul suo rapporto con le persone che la segnarono dal padre Umberto, al marito, a Carlo Levi con cui ebbe un sodalizio di lavoro e di affetto lunghissimo. Erano tutte grandi e diverse personalità con le loro passioni che spesso non coincidevano con quelle di Linuccia che ne ebbe sempre grande consapevolezza, ad esempio Levi era intenzionato a viaggiare, cosa che Linuccia abborriva, Linuccia avrebbe voluto un rapporto più stretto con Carlo e per questo sarebbe stata anche disponibile a lasciare Lionello ma dato che Carlo Levi era intollerante ai vincoli troppo stretti ritenne opportuno non separarsi dal marito. Riuscì peraltro con grande abilità a mantenere in piedi due rapporti, entrambi importanti nella sua esistenza senza creare alcuna forma di conflittualità tra i due uomini.
Di lei giovane aveva parlato Montale definendola “Complessa e inquieta, aperta alle esperienze più diverse, capace di conservare un nucleo di sé autentico e di realizzarsi nelle cose che amava” Seppure questa definizione si riferisca a una Linuccia ancora acerba penso che si possa estendere a tutta la sua esistenza.
“Come tutte le creature d’amore Linuccia sapeva correre a perdifiato sul filo del rasoio” scrisse di lei Sergio Miniussi.
(di m.t.t.)