La sfinge del Montasio di Lino Torossi

camp Valbruna orizEra una calda giornata di fine giugno dell’anno 1930, ma la roccia in quel tratto di parete sembrava gelida come d’inverno. Paolo Valle guardava verso l’alto con apprensione. Da dieci minuti o forse più, il suo compagno, dopo aver superato lo strapiombo, sembrava scomparso nel nulla. Un tempo troppo lungo in quel silenzio; la fune continuava a penzolare inerte. Il rocciatore, sempre immobile su di un’esigua cengetta, ebbe un brivido e l’impressione di essere lassù, solo, abbarbicato sull’ignoto. Cercò di aderire il più possibile alla roccia e fissò con apprensione il chiodo al quale si era assicurato con un breve cordino. Quel chiodo avrebbe tenuto?
Il sole sfolgorava confortante nel cielo limpidissimo, ma il baratro che si apriva ai suoi piedi faceva paura. Il passare dei secondi, scanditi dalle forti pulsazioni del suo cuore, accresceva in lui quella penosa sensazione di solitudine. Il silenzio che gravava su tutta la parete lo tormentava. Ad un tratto la fune riprese a scivolare lentamente verso l’alto. Sentendola scorrere tra le dita, sentì che anche il suo sangue aveva ripreso ad affluire più caldo nelle vene. Non era più solo sopra quel baratro pauroso. Lassù, a pochi metri da lui, il suo compagno aveva ripreso a salire. Fissava attentamente la fune trattenendo il respiro. Tutt’intorno ogni altra cosa era immobile. La roccia, l’aria, lo scenario, lui stesso. Da quando aveva visto le pedule del compagno scomparire oltre la sporgenza ostile, non si era mosso di un solo centimetro. Intanto una forza misteriosa e potente, che scaturiva subdola dalla fredda parete, dall’abisso, dall’azzurro stesso del cielo, sembrava volerlo avvinghiare con tenace dolcezza. Ed egli quasi credeva che a quel risucchio misterioso non avrebbe saputo resistere e si sarebbe lasciato trascinare nel vuoto.
Un desiderio intenso di lanciare una voce, di mandare un grido lo struggeva, ma doveva dominarsi. Non doveva distrarre l’amico che stava procedendo al limite di caduta senza una valida sicurezza.
A un tratto dei colpi di martello, battuti freneticamente sopra un chiodo, giunsero al suo orecchio stanco di ascoltare soltanto il silenzio e i battiti del cuore. Si rianimò, ma fu per un solo istante. Schiacciato contro la parete rimase in ascolto trattenendo il respiro. Il chiodo, penetrando nella fessura, vibrava cupo. Il suo ammonimento era chiarissimo: non avrebbe resistito a una forte trazione.
Paolo Valle ora ascoltava con spasimo. I colpi erano cessati ed era ritornato a gravare su di lui quel tormentoso silenzio. Dopo qualche istante percepì l’affannoso ansito del compagno, mentre la fune cessava di scorrere verso l’alto: si era curvata paurosamente ad arco e penzolava allentata. Ebbe l’impressione che l’amico stesse precipitando. Ma la corda aveva già ripreso il suo lento svolgersi oltre l’orlo del tetto. Tirò un sospiro di sollievo e inconsciamente si mise a zufolare in sordina.
– Tira… adagio! Era finalmente la voce strozzata dell’amico che scendeva dall’alto. Obbedì ponendovi la massima cautela. Uno strappo incauto avrebbe potuto far uscire il chiodo dal suo slabbrato alveolo. Sotto, il bianco nevaio, duecento metri a piombo, sembrava impaziente di accogliere quelle due giovani vite.
– Basta! Era ancora la voce ansimante dell’amico che gli dava quell’ordine.
Paolo Valle si immobilizzò. Chinò il capo e con la manica della camicia si terse il freddo sudore che gli imperlava la fronte. Osò soltanto brontolare un’imprecazione e spostare il peso del corpo da un piede all’altro.
Il silenzio, sempre più tormentoso, era ritornato a dominare la fredda parete. Il giovane cercò di calcolare la distanza che lo separava dal compagno. Era eccessiva. Una sua caduta avrebbe reso inutile la corda ormai svolta quasi in tutta la sua lunghezza. Egli si era distanziato troppo dal chiodo infisso sotto il tetto, il solo che dava una certa garanzia. La fune non avrebbe resistito allo strappo e per il suo amico sarebbe stata una fine certa. Guardò di nuovo con angoscia il chiodo al quale si era assicurato con il cordino. Forse nemmeno quello avrebbe tenuto.
(continua)