Intervista pubblicata nella tesi di laurea di Matea Petrovi? su “Donne senza volto” (Zara 2015)
1. Quando ha cominciato a scrivere? Quando è nata la sua passione per la scrittura?
Ho scritto da sempre anche perché nella mia famiglia sia mio padre, Lino Torossi, – che lasciò alcuni libri inediti, che in parte ho pubblicato – sia sua sorella, Eleonora Torossi, – autrice di alcuni romanzi per l’infanzia pubblicati nei lontani anni 30, lo facevano. L’accesso però alla prima pubblicazione è avvenuto relativamente tardi.
2. Qual è la sua poetica e come descriverebbe se stessa come poeta?
Una poetica vera e propria l’ho definita solo nel corso della stesura del secondo volume di poesie, “L’unicorno”, uscito nel 1997 con delle indicazioni di poetica che pubblicai come premessa al libro con il titolo di “Istruzioni, intenzioni (e presunzioni)” che riporto in parte: “Che cosa possono fare i poeti in questo mondo, terra desolata, da cui gli dei sono fuggiti, in cui siamo quotidianamente sommersi da parole inautentiche ed effimere? Forse cercare qualche parola che ci proietti al di là del tempo. Forse cercare il senso delle cose in rapporto a questa realtà multiforme che sfugge ogni catalogazione. Forse ritornare a un impegno di tipo ideologico nel senso di umano, attento agli eterni problemi esistenziali dell’uomo. Forse inserire le proprie parole in un discorso globale, non parlare solamente per immagini – seppure è proprio questo che connota la poesia – ma inserirle in un’organica visione intellettuale che ri-crei il mondo. Forse allontanarsi dalla mera rappresentazione della realtà (che tutti hanno d’altronde sotto gli occhi) o dalla sua ricostruzione in negativo che ne dà tanta letteratura del Novecento, azzardando anche un po’ d’utopia.
La poesia può lottare contro il brutto, cancro principale del nostro tempo, contro la borghesia involgarita, la cultura ridotta a orpello. Può andare contro le abitudini della nostra epoca che vogliono sacrificare il bello nei lampi dell’ironia, che prescrivono la diffidenza programmatica verso ogni assoluto e ogni idealità, che diffidano dalla tensione utopica che vada al di là del quotidiano.
Anche se consapevoli di quanto la parola, questa casa dell’essere sia fragile e limitata, non penso si debba rinunciare alla volontà di comunicare. La parola poetica, pur nella sua naturale polisemanticità, non può cercare programmaticamente l’oscurità. Al contrario dovrebbe voler essere il più possibile trasparente. Disperatamente trasparente…”
Le “intenzioni” espresse in quell’occasione possono certamente esser estese anche alla mia prima opera. In particolare la volontà di una comunicazione chiara, che non usi la parola come orpello, che eviti la retorica e vada a caccia di una possibile verità. Verità a cui alludere, a cui fare riferimento, a cui tendere più che una verità oggettiva, ma comunque qualcosa di autentico e non di fasullo. Il tema della parola e del suo valore è stato sempre al centro della mia riflessione e a ben pensare ha trovato spazio in forme molteplici, in brevi saggi pubblicati su riviste (La tragedia della parola) in alcuni romanzi “Le parole blu” e “L’Occidente e parole” ma soprattutto nella poesia. In poesia la parola ha un significato più pregnante, denso, forte, irrevocabile. Per questo ho sempre amato in modo particolare la poesia.
3. La sua prima pubblicazione, Donne senza volto, dal punto di vista di oggi, dopo 23 anni, come la vede adesso, comparandola con le opere posteriori?
A distanza di due decenni ritrovo in “Donne senza volto” molti elementi che sento ancora strettamente legati all’oggi e altri che la realtà ha superato. La raccolta è divisa in più sezioni. La prima parte, che dà il titolo all’opera, è nata dall’esplicita volontà di concorrere a dare “volto“, cioè espressione, al sentire femminile che mi sembrava per alcuni aspetti non avesse trovato spazio nella letteratura e in generale nell’arte. Ero molto sensibile a quel tempo (e in parte lo sono ancora) al fatto inconfutabile che per millenni la produzione letteraria, artistica e filosofica maschile abbia occupato tanto più spazio di quella femminile e che alla donna non sia stato concesso, sia in termini di quantità, ma anche e soprattutto di qualità, di avere un’adeguata rappresentazione nel campo dell’arte e della scienza, insomma del pensiero in generale. Negli ultimi decenni la situazione è mutata, il numero delle autrici è diventato notevole, l’attenzione alla produzione femminile è alta, talvolta anche un po’ retorica, comunque utile. La donna ha conquistato campi un tempo impensabili e ha avuto accesso un po’ ovunque. Ma non è tutto oro quel che luccica. La storia umana non conosce spostamenti lineari, cambiamenti motivati, ben orchestrati e razionali. Quasi sempre nel mutare le sue coordinate produce dei danni. Abusi ed eccessi che inficiano e gettano discredito su quella che era una sacrosanta rivendicazione costellano il nostro oggi inquieto e ci rendono meno sensibili a ciò che dovrebbe essere solo un giusto riequibibrio, pur rispettoso di quelle che sono le peculiarità dei sessi. Quindi la prima parte della raccolta per certi aspetti la trovo un po’ lontana dalla mia sensibilità attuale.
Alcune poesie delle sezioni centrali mi sembra invece abbiano anche ora la loro piena validità e vitalità perchè in qualche modo esprimono concetti che superano il tempo e si pongono in rapporto con degli assoluti (la natura il tempo lo spazio la solitudine etc).
La sezione finale infine testimonia il mio amore per il mondo classico. Sono riprese alcune idee fondamentali che pur espresse in un’epoca – quella greco-romana – a noi molto lontana, possono essere considerate valide ancora oggi. Sono di più difficile fruibilità, perché certe parole devono esser colte nel significato peculiare che il mondo classico ha attribuito loro. Ad esempio la parola “indifferenza”. Per noi ha, nella banale accezione, un significato negativo, mentre per certe filosofie antiche esprimeva una posizione forte, di presa di coscienza della realtà, del mondo e di sereno distacco dalle passioni.
4. Si puo dividere la sua opera letteraria in periodi diversi?
Negli anni Novanta ho scritto soprattutto poesia e una raccolta di racconti e ho lavorato per rendere pubblicabile un romanzo di mio padre. Negli anni seguenti mi sono dedicata alla pubblicazione di racconti brevi e sono approdata al romanzo. Tra il 2000 e il 2010 ho scritto alcuni romanzi, ho pubblicato molti articoli (recensioni, critica letteraria) su giornali culturali, ho inizato a dedicarmi alla letteratura di viaggio. Ho scritto anche un certo numero di poesie che però non si sono ancora configurate come una terza raccolta. Attualmente mi dedico alla stesura di un romanzo perché preferisco le strutture più ampie, in cui si possano costruire non solo personaggi ma anche ambienti, avendo anche la possibilità di discutere problemi di vario genere che interessano la società di oggi o quella del passato. I miei romanzi in realtà sono un po’ ibridi, si potrebbero definire dei romanzi-saggi, perché il dibattito sulle idee occupa una parte consistente del testo. Recentemente ho pubblicato anche dei racconti di viaggio.
5. Quali sentimenti prevalgono nella raccolta di poesie Donne senza volto? Ci sono degli elementi autobiografici?
Come dicevo la molla che mi ha spinto a scrivere “Donne senza volto“ è stata la volontà di dare forma alla sensibilità femminile che non mi pareva sufficientemente rappresentata nella letteratura. Da questa intenzione nascono figure di donne, varie e diverse tra loro che non necessariamente hanno qualcosa di me e della mia esperienza di vita. È indubbio che in ciò che scriviamo, attraverso qualsiasi forma, prosa poesia romanzo o saggio, esprimiamo sempre noi stessi, anche se parliamo d’altro. Questo libro in particolare, essendo il primo e forse il più amato, lo sento espressione del mio sentire anche attuale, senza che per questo vi siano elementi autobiografici presenti o vicende a cui si faccia riferimento in modo diretto.
6. Nel poema L’alba cosa voleva esprimere con il verso: “E’ finito/ l’a solo dell’uomo/ cominciano i nostri sogni di gelsomino.”?
L’alba è una poesia per così dire programmatica, una poesia che esprime la mia poetica e il mio programma. Come dicevo la volontà in quest’opera era polemica. L’a solo dell’uomo allude al suo lungo dominio solitario maschile nei campi dell’arte della scienza e della fiosofia, insomma in tutto il regno del pensiero, per millenni. I nostri sogni di gelsomino alludono, simbolicamente, alle nuove tessere femminili che mi sembrava dovessero dare nuova linfa e significato alla letteratura e all’arte. Adesso, a distanza di più di due decenni, mi sembra che la presenza della donna nel campo artistico, pur molto più rappresentativa che un tempo, non abbia però purtroppo rovesciato in tutto e del tutto le coordinate di pensiero maschile che da sempre hanno prevalso. Qualcosa è stato ottenuto indubbiamente, ma parecchia strada mi sembra ancora rimanga da fare per un giusto riequilibrio.
7. Qual era l’ispirazione e la spinta per scrivere “Donne senza volto”?
Prevale nella prima parte della raccolta una volontà polemica e il desiderio di costruire qualcosa di diverso e di nuovo. Nelle sezioni seguenti sono presenti poesie che prescindono da questa visione forse un po’ troppo manichea, e sono quelle che oggi sento più vicine.
8. Perche proprio il titolo “Donne senza volto”?
Ho usato l’espressione “senza volto“ per indicare che le donne nel passato non hanno prodotto testimonianze artistiche capaci di esprimerle appieno, senza mutuare modo schemi percorsi mentali dal mondo mascile, anche se forse, in parte, questo condividere schemi mentali non è da condannare del tutto, perché la mente non ha sesso e quindi in alcuni campi non deve essere per forza pigiato sempre l’acceleratore sulla differenza di genere. È un percorso, quello del riconoscimento della possibilità di condividere le strutture mentali condivisibili, che possiamo fare ora, dopo un periodo un cui sono state rifiutate, – e giustamente, – perchè solo dal rifiuto e dalla creazione di una propria autonomia può nascere un pensiero che sia veramente originale e autentico. Dopo quel momento di affermazione (ormai superato) nei confronti di una millenaria prevaricazione, il prevalere di una equilibrata condivisione è comunque auspicabile.
9. Ha tradotto qualche scrittore o è stata tradotta da qualcuno?
Non ho mai svolto lavoro di traduttrice. Alcune mie poesie sono state tradotte in tedesco o in inglese, ma si tratta di singole poesie non di intere opere. Attualmente un gruppetto di mie poesie inedite è in corso di traduzione nella repubblica ceca e sarà pubblicato a breve.
10. Alcuni suggerimenti per la traduttrice di Donne senza volto?
Le insidie maggiori sono certamente contenute nelle poesie dell’ultimo gruppo “La serena indifferenza” che mettono il lettore a confronto con un sensibilità che non è quella moderna e che possono indurre il traduttore a fare errori utilizzando parole moderne che non esprimono il concetto degli antichi. Io stessa ho lasciato alcune espressioni in greco antico perchè mi sembravano intraducibili. Si possono usare delle note, indicando la fonte, e fare riferimento agli autori classici. Omero a esempio è autore di alcuni emistichi citati nell’opera, la parola atarassia (che significa imperturbabilità, indifferenza) non è utilizzata con il valore che nelle lingue moderne questa parola assume. Per esprimere con chiarezza la valenza positiva che le attibuivano alcune filosofie antiche penso bisogni fare un esplicito riferimento alle fonti classiche e lasciare la parola “non tradotta”, spiegando nella nota il suo significato, altrimenti si possono generare equivoci.