Viaggio in Campania (Ercolano e Pompei)

ginestreSembra un quadro del Settecento Sorrento, con gli alberi abbarbicati al tufo, gli alberghi e le ville che sorgono sulla barriera massiccia di pietra che si leva dal mare. Ma le orde di turisti che si riversano dai pullman e prendono d’assalto motonavi e aliscafi per Capri ci rituffano nel presente. Anche noi saliamo e ci mettiamo a sedere di fronte a due inglesi che parlano fitto.

Ieri, scesi da un aereo che ci ha catapultato dentro Napoli, con un atterraggio da brivido, rifili alle case e ripresa di quota, insomma una guida sportiva, abbiamo preso una macchina a noleggio e dopo aver studiato per un bel po’ il suo funzionamento siamo andati a vedere gli scavi di Ercolano e ci siamo per qualche oretta perduti tra case d’antan. “Vi si scende come in una miniera per mezzo di un cavo” scrisse due secoli fa lo storico Charles de Brosses che la visitò durante gli scavi che Carlo III aveva fatto eseguire forando lo strato di lava che la ricopriva ed era duro come il ferro. Vittima, come Pompei, dell’eruzione del 79, Ercolano fu sommersa da una colata di fango e lava che creò questo strato compatto.
Attraversiamo gli scavi e possiamo godere di una visione panoramica d’insieme che ci fa distinguere le case a più piani e le strade lastricate. Visitiamo la casa d’Argo, la casa dell’Erma di bronzo e quella a graticcio. Gran parte della città però non è visibile perché sopra – incredibile! – sono state costruite delle abitazioni. Anche il teatro è ancora sepolto. Scegliamo un pino fronzuto per fare una piccola sosta vicino a degli inglesi che stanno commentando il luogo e sembrano molto euforici. Uno recita in anglolatino “In taberna quando sumus…” poi ride e chiede a una sedicente guida come si chiamavano in latino i marciapiedi. L’appetito vien mangiando e, ingolositi dalla bellezza degli scavi di Ercolano, vorremmo andare a vedere anche quelli di Oplontis che si trovano a Torre Annunziata. L’idea si rivela poco felice, e ci costringe ad addentrarci nelle zone più degradate della provincia di Napoli, tra case scrostate brutture d’ogni genere e un traffico caotico e indisciplinato. I motorini sfrecciano tre alla volta con sopra grappoli di ragazzini. Constatiamo con stupore che il percorso Ercolano-Torre Annunziata si è rivelato molto più faticoso che il viaggio Trieste-Ercolano e, distrutti, puntiamo verso l’albergo che ci aspetta a Sorrento. Lo troviamo, non senza difficoltà, incastonato nel tufo. Dicono che Sorrento sia la patria delle sirene e in effetti l’oste che ci accoglie, a mo’ di sirena, ci vorrebbe indurre a prendere il piatto più caro. Ma noi, come Ulisse, resistiamo. Una motonave ci porta il mattino seguente a Capri. Attracchiamo a Marina Piccola e saliamo con la funicolare attraversando pastini ricchi di vegetazione lussureggiante. In tre minuti siamo nella piazzetta. Da lì imbocchiamo una stradina che si inerpica fino alla villa che fu di Tiberio. Posto bellissimo e molto adatto a un imperatore inquieto e sospettoso che da lassù poteva controllare arrivi e partenze. Lasciata la villa ci avviamo per un sentiero panoramico da cui possiamo ammirare i famosi faraglioni. La vista è superba. Accovacciata su un muretto mangio yoghurt e frutta e guardo la vegetazione. Rigogliosissima e, a sorpresa, ricchissima di fiori anche in autunno. Non ci speravo. Fiori azzurri, campanule rovesciate di un pallido rosa, ibiskos rossi, bouganvillee fasciano e abbelliscono le ville. Tunnel di verde e porticati. Pastini con viti e olivi, tantissimi limoni e piante grasse, enormi. Troviamo anche un ficus di una trentina di metri piantato nel millenovecentotrentaquattro!
La visita a Pompei, il giorno seguente, mette a dura prova la nostra resistenza fisica. Indugiamo a guardare (e fotografare) forum templi bagni lupanare strade sulle quali c’è anche una specie di zebrato per i pedoni, costituito da pietre più alte che consentivano di passare senza bagnarsi i piedi. Moltissimo, come al solito, resta ancora da scavare.
I luoghi vesuviani, come pochi altri, ci mettono davanti alla miseria e alla grandezza umana. Sono uno scrigno in cui sembra ancora di sentire pulsare la vita degli antichi. Tutti ricordiamo i versi de “La ginestra” di Leopardi: “Questi campi cosparsi/ di ceneri infeconde, e ricoperti/dell’impietrata lava, che sotto ai passi al pellegrin risona,/… fur liete ville e colti,/e biondeggiar di spiche, e risonaro/ di muggito d’armenti/fur giardini e palagi/agli ozi dei potenti gradito ospizio; e fur città famose /che coi torrenti suoi l’altero monte /dall’ignea bocca fulminando oppresse /con gli abitanti insieme” o quelli di Marziale che così piange le città sepolte: “ecco il monte ancora ieri verdeggiante e ombreggiato da pampini… ecco il soggiorno di Venere…questo luogo famoso per il nome di Ercole è tutto affondato nelle fiamme e una lugubre cenere copre il suolo”.
Quando il 24 agosto del 79 d. C. fu sepolta sotto una fitta coltre di lapilli e di cenere Pompei era una città che stava risorgendo dopo il devastante terremoto del febbraio del 62. Nell’arco dei successivi diciassette anni, ville templi e terme erano stati in buona parte ricostruiti e la città quando fu sepolta dall’eruzione era un immenso cantiere a cielo aperto. (continua)

m.t.t. da Viaggi a due nell’Europa di questi anni