Tra Oriente e Occidente. Intervista a Marina Torossi di Nuria Kanzian

 DSC_0198Come dice Alvin Toffler, autore di “Lo choch del futuro” (1970) e “La guerra disarmata” (1994), il potere mondiale è diviso in tre ampie sezioni: paesi agricoli, paesi dell’industria pesante e paesi dell’economia dell’informazione. Tra Oriente e Occidente ci sono anche delle aree “divergenti”, che non seguono le linee guida della società dei prosumer (produttori-consumatori allo stesso tempo) resi schiavi dal mercato. Alcune contraddizioni esistono, ma sono le civiltà più armoniche quelle che simboleggiano un incontro ideale tra le diverse culture.
Scrivere oggi significa oggi anche porsi delle domande sulla società attuale, significa spostarsi per scoprire nuovi legami parentali, significa allargare i propri orizzonti. Non ci saranno barriere ad un mercato globale, che per il suo tipo di conoscenza nomade affonderà pur sempre le sue radici in un passato rizomatico. Gli scrittori cosmopoliti sono le voci pensanti di alcune storie, proprio come la sabbia viene filtrata dalle onde del mare. La scrittrice triestina Marina Torossi Tevini è consapevole dell’esistenza di un villaggio globale e lo sperimenta attraverso il suo viaggio.
Marina ha insegnato per anni italiano al liceo classico e nel contempo ha pubblicato opere narrativa e di poesia che sono state vincitrici o finaliste di importanti premi letterari. Come la maggior parte dei triestini è aperta al tema del lontano, al tema dell’alterità e della libertà. Poiché ha anche vissuto in prima persona in uno spazio dove le relazioni commerciali e le tradizioni mitteleuropea interagivano, evidenzia così in un suo saggio un‘ inevitabile comunanzia d’intenti: “Nel lontano VI secolo a.C., momento in cui l’umanità vide con straordinaria lucidità mentale la dimensione umana, l’umanità cercò di creare delle saggezze capaci di indirizzare l’uomo al rafforzamento del suo Io. Questo accadde in Occidente ma anche – contemporaneamente – in Oriente. Le saggezze antiche, sia quelle di matrice occidentale (la filosofia greca) che quelle di matrice orientale (il Buddhismo) percorrono, in un periodo pressappoco coincidente, strade analoghe (almeno sotto gli aspetti fondamentali) e da un’iniziale constatazione dell’inevitabile presenza del dolore all’interno della vita umana, dolore in qualche modo radicato nell’esistenza e per questo ineliminabile, individuano delle vie attraverso le quali l’uomo può attutirlo e minimizzarne i danni. Le saggezze antiche invitano l’uomo a fuggire dalle passioni, a non essere vittima dei propri desideri e a contrapporre come rimedio alla sofferenza un atteggiamento di impassibilità, di distacco, di atarassia” (tratto da “La necessaria sottrazione”).
Alcune domande all’autrice.
1) Come affronti nelle tue opere il discorso della società attuale e della globalizzazione?
Da questo luogo cerniera tra Occidente e Oriente che è Trieste credo che da sempre si sia guardato con attenzione e interesse al mondo come a un intrico di razze e di culture. Trieste già nell’Ottocento era un luogo in cui molte etnie vivevano gomito a gomito. La letteratura triestina è stata sempre rivolta verso la Mitteleuropa e verso Oriente con una sensibilità che le è stata propria e la contraddistingue. In questo scenario e alla luce di un presente che ci prospetta un mondo sempre più interconnesso la mia attenzione è stata sempre rivolta alla società attuale, anche nella sua dimensione multiculturale. Dagli scritti di viaggio, più specificatamente rivolti in modo cosciente ai fenomeni che coinvolgono l’oggi nelle sue trasformazioni, nei suoi paradossi, nelle sue incongruenze ai romanzi e ai racconti che testimoniano a livello più inconscio e indiretto la società attuale nei suoi talvolta tortuosi percorsi.

2) Quali scrittori ti hanno ispirato maggiormente?
L’aspetto a cui sono più sensibile è indubbiamente la capacità di un autore di demistificare la realtà, di togliere il velo dalle menzogne che la società costruisce sul reale e quindi gli autori che sono riusciti con maggior coraggio a scarnificare l’apparente per ricercare lacerti di vero sono i miei preferiti. Per piacermi un autore deve contribuire a farmi crescere nella lettura della realtà, deve mettere in discussione le mie certezze. La letteratura di intrattenimento non mi interessa, preferisco quella che smaschera il vuoto, dà senso ai non sensi, sfronda il buonismo, ricerca l’essenza del bene e del male.
Indicare gli autori che ho amato e che in qualche modo hanno segnato la mia formazione è un percorso abbastanza lungo e complesso. Le mie preferenze vanno dagli autori classici a Svevo, da Simone de Beauvoir a Doris Lessing, da Yehoshua alla Jelinek, dalla Szymborska alla Yourcenar, da Irene Némirovsky a Kafka attraverso un percorso di incontri casuali e non che sono spalmati su un arco di tempo piuttosto vasto e hanno valenze diverse. Alcuni autori, gli autori classici, li ho conosciuti e amati durante la mia giovinezza e in essi ho trovato e colto molti aspetti del pensiero che in qualche modo mi sembrava potesse smussare le punte estreme di una visione della vita piccolo borghese che in questo tardo capitalismo ormai alla sua conclusione mi veniva veicolata dalla famiglia e dalla società. L’equilibrio che il mondo classico aveva trovato tra società e individuo (pur alle spalle di una parte consistente del genere umano, come le donne e gli schiavi) e le intuizioni profonde in campo filosofico insuperate per certi aspetti nei secoli successivi ha affascinato la mia giovinezza. Ma anche autori completamente diversi come Svevo, Ibsen e Kafka, autori che hanno indagato sulla fragilità del rapporto tra individuo e società, sul disagio e la difficoltà di vivere sono stati fondamentali per me. Penso all’occhialuto uomo di Svevo o all’angoscia dei personaggi di Kafka che si trovano prigionieri di una realtà assurda e incomprensibile. Non erano ancora cominciate le tragedie che hanno attraversato e segnato il Novecento ma pure questi autori con la sensibilità speciale degli artisti ne presentivano l’avvicinarsi.
Ma anche altri autori hanno segnato la mia formazione e penso possano riflettersi nel mio pensiero, almeno in modo indiretto (Pasolini, Queneau, Vila-Matas, Dostoevskij, per citarne solo alcuni). Anche autrici come la Lessing o Simone de Beauvoir hanno avuto una parte considerevole perché in qualche modo rappresentavano nel panorama della letteratura, che in generale si declina soprattutto al maschile, delle letture del reale da parte della donna.
Questi tre elementi (classicità, letteratura del primo Novecento e letteratura femminile) penso siano quelli che si possono trovare riflessi in varie proporzioni nei miei libri. Il mondo classico è presente in modo diretto in uno dei miei romanzi Socrate e le donne, uno dei due romanzi presenti nel volume Le parole blu e in alcuni racconti (Ulisse terzo millennio) o poesie (Ulisseide fanciulla) però in modo indiretto anche in altre opere.
L’influsso di alcune autrici come la Lessing o la Yourcenar penso si sia esercitato soprattutto sui primi racconti, quelli pubblicati negli anni 90, come la raccolta Il maschio ecologico e in parte Il migliore dei mondi impossibili.
È comunque difficile scindere le varie componenti. Tra i miei autori prediletti possono esserci alcuni che amo per la loro chiarezza e altri al contrario per la loro oscurità; alcuni che ammiro per la loro capacità di tessere un ordito in cui la realtà prende in qualche modo un significato come Tolstoj, oppure al contrario per il loro amore a svelare la difficoltà dell’individuo a realizzarsi, a dare un senso all’esistenza, a creare un’unità salda tra la percezione della realtà e la realtà in stessa come Kafka, Svevo o Ibsen.
Molti autori amati pur nella loro diversità possono coesistere come punti di riferimento. Come ha scritto Magris “nella letteratura ci sono diverse case e non bisogna per forza scegliere”. Autori profondamente diversi possono essere per noi ugualmente significativi e possono costituire dei tasselli irrinunciabili della nostra formazione.

3) In quali generi letterari pensi di esprimerti meglio?
Difficile dare una risposta perché nessuno è giudice imparziale della propria opera. Uno può amare un genere e riuscire meglio in un altro. Sarà la critica a definirlo.
Per quel che mi riguarda il genere che amo di più è il romanzo. Nel romanzo si creano dei personaggi e i personaggi abitano dentro di noi per un certo tempo e in qualche modo urgono per prendere vita. Il romanzo ci consente di vivere per un periodo abbastanza lungo in compagnia della storia che abbiamo inventato e ci consente di esprimere attraverso le vicende o i dialoghi dei personaggi che abbiamo creato delle idee. In generale amo il romanzo che non si ferma alla narrazione ma veicola anche contenuti (meglio se provocatori) di pensiero, una sorta di romanzo saggio, una narrazione che inglobi anche contenuti di pensiero e addenti in modo profondo il reale esponendosi con giudizi sullo stesso.
Amo comunque anche altri generi, come il racconto breve che nasce da un’emozione più intensa e si costruisce spesso in modo inconscio intorno a qualche nodo irrisolto della nostra anima.
Amo anche in modo particolare e intenso la poesia. La poesia nella sua dimensione irrazionale dà sfogo a quella componente di irrazionale e personale sensibilità che ognuno di noi possiede. Ma la poesia è illuminazione, momento in cui sentiamo attraverso quelle parole e solo quelle, “dono degli dei” e può succedere che per anni non ci visiti affatto.
Ci sono infine i saggi e i racconti di viaggio, genere che ho frequentato parecchio nell’ultimo periodo.

4) A quale premio sei più affezionata?
Certamente al primo premio vinto nel lontano 1993 al Leone di Muggia. Innanzitutto era il mio primo primo premio (mi si consenta il gioco di parole) e poi in giuria c’era un critico e uomo di cultura che ho sempre stimato moltissimo, il compianto professor Bruno Maier.

5) Viaggi per scrivere o scrivi per viaggiare?
Indubbiamente viaggiare è un grande stimolo per l’intelletto e per la fantasia. Viaggiando non solo si conoscono realtà diverse e quindi si possono in qualche modo allargare i propri orizzonti mentali (ma questo in fondo si potrebbe anche fare a tavolino, la lettura è fonte di arricchimento come e più della vita stessa) ma lo spostarsi di luogo in luogo ha anche una funzione diversa, almeno per me, costituisce una fonte di eccitazione che si ripercuote in modo positivo sulla mia fantasia. Da sempre molte idee le ho maturate durante i viaggi e in alcuni ho lavorato parecchio alla stesura delle mie opere. Naturalmente non sempre è possibile farlo. Le condizioni ideali per scrivere sono quelle di uno slow travel con sufficienti momenti di pausa.

6) Quali sono le tue prossime pubblicazioni?
Uscirà tra qualche mese un mio libro di viaggi in Europa. Non sarà solo un libro di viaggi ma anche una fotografia, spero abbastanza completa, di quest’Europa a due velocità, di quest’Europa della crisi e di quelle che sono state le sue premesse, i suoi prodromi, spesso inavvertiti o volutamente inascoltati nei decenni passati.