Poesia contemporanea (1)


Il silenzio scorreva tra lievi
sfarfallamenti del tempo:
ad ogni stanza, perdevo un abito
una gonna, una giacca, una memoria –
dai vetri accostati delle finestre
penetrava una polvere di note –

nebuloso emerse un ricordo
mi riavvolse il silenzio come feltro
nella stanza del nulla denso
persi un cappotto, memorie e parole –
nell’altra stanza, precipitavano numeri
frasi e versi, diagrammi a colori
e il silenzio scorreva sempre
verso la danza dei vortici neri
nell’ultima stanza, la mia anima nuda
fu accarezzata da un notturno
distillato con preziosa lentezza –
note e silenzio si fusero
nella vibrazione
sparente
(di Marina Raccanelli)

Mi ribello alle massime e agli stereotipi

La pacatezza che mi fa da guscio e tana
è il mio riparo dai sentenziatori
_ho visto esseri umani prigionieri
di simboli e precetti
vivere come fossero immortali_
ho appreso a non bramare
a ritenere tutti, me compresa
per niente necessari
e ad essere-nonessere
senza gravare troppo sugli amori
senza aspettarmi troppo dagli amori
potrebbe dirsi noncuranza, ma
è la contezza di lasciare liberi
di andare o di restare
(di Cristina Bove)

Epitaffio

visse così come un girino dentro la palude
colpi di coda come fertile felicità distratta
nei guizzi in testacoda a scanso di pensieri
(di Maurizio Soldini)

…Dalle navate degli alberi germoglianti
( si stendevano belle e lucenti
nei lunghi giorni perfetti)
si arrivava alla tacita linea di acqua,
l’innominata acqua scura,
un assoluto solitario
quasi sotto l’orlo angusto…
Dopo il crepuscolo azzurro
la notte era molto tranquilla,
e quei morti intorno a lei
– nella loro innominata carne ferita–
erano sostanziali misurati e preziosi
capaci di movimenti lenti e terribili.
Tra sofisticherie e sottigliezze teologiche
lei aveva una espressione di fredda
– e pensosa – riservatezza,
nelle possessioni – tutte sue –
( e dopo il macello geometrico)…
Tutto l’incesso
per quella strada ardente
era astratto e scabro
come la camera dei suicidi in un albergo
e il cielo si era rannuvolato intanto,
striato dai cardati fili colore di seppia,
che erano sul punto di precipitare.
(di Dominique Villa)

Novembrina
Mia gloriosa
algida cicoria spaccareni
sterminata mimetica pianta
innamorata ricerca da tradurre in padella
fondata ipotesi di goccia al naso ad oltranza!
Per te la gola e l’anima
ingoiano tramontana
aspirina, gocce di brina
frizzanti richiami di cucina lontana…
Per te l’aria tagliente si volta e ti guarda
ti riconosce accanita compagna di strada
immensa stella fredda della vita
sua emanazione infinita / finita, o cicoria!
(di Leopoldo Attolico da Scapricciatielle, Il Bagatto, 1995)

(selezione a cura di m.t.t.)