La globalizzazione delle classi sociali

40_ppDSCN1426Quando cadde il muro di Berlino e anche gli altri paesi dell’Europa orientale smisero in fretta i panni dell’utopia comunista, che avrebbe dovuto portar loro giustizia e felicità, quando le roccaforti del comunismo – come Russia e Cina – si abbandonarono nelle braccia del capitalismo consumatore e smisero con gioia i loro panni uniformi per abbracciare i miti di questo Occidente, a sua stessa detta, vuoto di ideali, tutti pensammo che l’utopia che aveva scaldato le menti di tanti, dagli anni Trenta agli anni Ottanta, fosse definitivamente tramontata. I più idealisti possono essersi rammaricati che sia miseramente crollata un’utopia, in fondo di gran livello, che voleva realizzare la giustizia sulla terra – laddove le religioni fino allora avevano proposto una giustizia rinviata all’al di là. Non so se ci si sia adeguatamente accorti di un fatto che abbiamo sotto gli occhi e che proprio per la consuetudine non avvertiamo. Il tempo degli idealismi egualitari certo è lontano, i sindacalisti siedono in posti di potere, l’idealismo se ne è andato lontano da questi lidi sempre più subordinati all’economia, il lavoro intellettuale da tempo ha smesso di rendere e si sono invertite le classi – o, se vogliamo, esistono altre classi sociali non basate sulla cultura né sui valori borghesi (la società borghese ha avuto il primo tracollo alla fine della Prima guerra mondiale ed è definitivamente caduta alla fine della Seconda, dopo quei miseri tentativi di riprendere quota con la forza e la prevaricazione che furono il Nazismo e il Fascismo), domina incontrastato il valore denaro, ma tutto questo, anziché essere la sconfitta del sogno comunista del proletariato al potere, ne è in qualche modo la realizzazione.
Le società del passato suddivise in classi sociali avevano l’impronta possente della classe dominante; un tempo era l’aristocrazia, poi venne la borghesia che impose i suoi valori. Per l’aristocrazia i valori erano lealtà, coraggio, bellezza e cultura, per la classe borghese operosità, senso del dovere, risparmio e senso della famiglia. Ma all’interno delle società passate c’erano sempre anche le classi inferiori, classi che per la loro posizione defilata e subordinata non potevano imporre le loro idee alla società del tempo (ma che non per questo rinunciavano ad esse). La loro vita era basata su una gestione abbastanza disinvolta di quei valori che appartenevano alle classi sociali superiori, e che essi non si potevano permettere, e avevano maturato una visione diversa riguardo al rapporto col danaro, col lavoro, con la famiglia e col sesso. Mi viene da pensare che la visione tipica delle classi subordinate di un tempo è curiosamente abbastanza simile alle idee che troviamo nella nostra società.
Cosa è accaduto? Il proletariato è andato al potere e nessuno se n’è accorto? In un certo senso sì. Spazzate via le idee delle classi sociali superiori, considerata obsoleta la cultura e il senso del dovere della classe borghese, considerati superati i valori della bellezza e dell’arte, la nuova società globale ha fatto suoi i limiti e le licenze delle classi subordinate di un tempo e, a grandi dimensioni, l’uomo consumatore di oggi è un uomo che ha gli orizzonti del proletario di un tempo – guadagno, divertimento, sesso, confronto talvolta drammatico col denaro.
Insomma ci siamo proletarizzati anche se indossiamo Ferré o Cavalli, anche se abbiamo la Ferrari sotto casa. La classe proletaria ha vinto, ma non nel senso positivo di apportare la sua vitalità potente, la sua linfa, la sua forza anche fisica, che le ha consentito di resistere a condizioni durissime, ha vinto con gli aspetti servili, con il suo necessario qualunquismo, con la tendenza a un’inevitabile sciatteria culturale e morale, con il suo gusto per la bruttezza, con il suo ridurre tutto a denaro e commercio. Siamo diventati un immenso proletariato globale, insensibile a valori che non siano gli interessi meschini della nostra tasca.
La stessa visione del sesso diffusa nella nostra società – considerato come un diritto, una manifestazione fisiologica, una soddisfazione un po’ tronfia sulla miseria della vita – mi sembra si colleghi alla visione che ne aveva un tempo il proletariato, che non aveva la possibilità di andare per il sottile, di gustare le sfumature, di graduare i valori, e che prendeva con vitalità sanguigna tra le mani i beni che riusciva ad afferrare in un hic et nunc che oggi è diventato la regola. Le classi subalterne di un tempo che non avevano accesso ai beni più alti, – cultura bellezza potere – erano confinate alle soddisfazioni materiali della carne, che ora sembrano interessare tutti.
Ci siamo appiattiti al livello più basso. E delle classi subalterne abbiamo tutti i limiti: il non idealismo di fondo, che ci rende sonnacchiosi o iperattivi, annoiati e sempre in movimento. Non abbiamo un centro di gravità dentro di noi, siamo sudditi a tutti gli effetti, e come tali ci comportiamo, ad esempio evadendo le tasse per rosicchiare un po’ di denaro, più o meno come facevano una volta i servi, rubacchiando quel che potevano a un odioso padrone. Non ci riscaldano più gli ideali che nel passato avevano fornito linfa a classi sociali di spessore, pur con tutti i loro limiti e difetti.
Non sto certo dicendo che il mondo era migliore un tempo. Le ingiustizie sociali erano forti e il privilegio di pochi era pagato con l’oppressione dei più. Da questo punto di vista il nostro mondo è di gran lunga migliore; c’è maggior giustizia e perequazione, si sta nel complesso meglio, questo è certo, nonostante le avvisaglie di una crisi di grande portata, che forse modificherà in pochi anni la nostra esistenza, ma sto osservando che, messi da parte gli ideali di classi sociali che la storia ha travolto, messi da parte i loro punti di riferimento e valori, rimane il paradosso di questa globalizzazione dei sentimenti e dei valori che ci ha appiattiti ai livelli più bassi, che ci ha dato una visione abbastanza mediocre e ristretta della vita, che ci fa guardare il nostro ombelico anziché il cielo stellato. Peccato.

m.t.t. da Rotte d’Europa, Hammerle, 2015