L’adagio oraziano “Caelum non animum mutant qui trans mare currunt” (Epistole I, 11, v. 27) sembra contraddetto dalla prassi di Marina Torossi Tevini, spinta da una spiccata curiosità intellettuale a percorrere le lunghe distanze da un capo all’altro del continente europeo con la disponibilità ad accogliere le diversità di umore e le differenze di realtà umana, sociale, storica, di tradizioni e di costume con la prontezza di chi adatta il registro critico e affina la profondità dello sguardo nella consuetudine al nuovo.
Il viaggio diventa una condizione dinamica dello spirito che, oltre al desiderio d’incrementare le conoscenze e sondare l’inedito, impegna la capacità di vedere, lo scatto analitico, la dote di comprensione dei movimenti, delle realtà, delle prospettive di un determinato luogo. Quando si arriva a una certa latitudine del nostro sogno di novità, scattano molteplici varianti a farci registrare nella memoria quanto ci è stato offerto; Marina Torossi Tevini sa bene che andare significa essere pronti a stupirsi per quanto arte, natura, umanità, hanno prodotto in un paese o semplicemente in una contrada del mondo. “Rotte d’Europa” si presenta come un reticolo di suggestioni assunte in molteplici viaggi (anche reiterati nella medesima località a distanza di mesi o anni) che diventano autentiche occasioni di dibattito e confronto a due – con il consorte, compagno di viaggio reale, oppure con il lettore, compagno virtuale – su problematiche che vari spunti e sollecitazioni innescano in itinere. E un modo per neutralizzare il tempo è quello di impegnarlo con le partenze susseguenti; conoscere un luogo non significa di per sé possederlo per sempre, è per questo che l’autrice, quando torna a rivederlo, ama soffermarsi sull’indicazione dei caratteri persistenti già registrati e sulle differenze emerse in seguito.
L’opera rivela un gusto particolare per la nota di colore che si fa sostanza di pensiero prodotta dai suggerimenti delle cose, delle situazioni, delle persone incontrate. Non è un libro di mete turistiche, ma una sequenza cangiante di riflessioni nate in un quadro fitto di spostamenti da una parte all’altra d’Europa. È una potente scossa anche per lettore più stanziale e sedentario, un invito a un’immersione dentro realtà per lo più avulse dai depliants patinati delle agenzie turistiche. La riflessione che sembra nascere dalla casualità delle sollecitazioni visive provenienti dalle più disparate realtà (dalla penisola iberica ai paesi baltici, dal Centroeuropa alle nazioni mediterranee, dalla Francia alla Germania) è invece strettamente connessa a un impianto di pensiero, che consente una ricognizione analitica di volta in volta incentrata sul piano storico, culturale, artistico e politico.
Lo stile limpido e chiaro si presta come duttile strumento di espressione d’umori, quelli stessi provati a contatto con le realtà considerate; talora la prosa si accende di seduzioni descrittive che invitano a un’avventura di viaggio il lettore stesso, con il quale idealmente colloquia per esprimergli pure i sensi di un disagio rispetto allo scollamento della società, alle condizioni di un’azione educativa inefficace della scuola, a un’inerzia conseguente della gioventù irretita dai miti del contemporaneo. E la scrittura si tende in un’analisi impietosa di fronte alla necessità di proporre sempre un raffronto tra un aspetto della situazione italiana e uno della realtà straniera, con le sue cento sfumature.
In queste peregrinazioni per le lande europee Marina Torossi non insegue solo il bello, ma inquadra il vero illuminando aspetti di forte contrasto e di marcata inquietudine. E allora l’obiettivo della scrittrice si ferma a inquadrare le contraddizioni come – per esempio – quelle tra il sud spagnolo e la “profonda Africa”, espresse nelle forme, nelle presenze e nelle atmosfere. La tristezza la attanaglia quando vede “stuoli di extracomunitari, che vivono nel più completo degrado, lavorano per una dozzina di ore al giorno per miseri 30 euro a temperature inumane.” Come dire che la condizione misera dell’immigrazione ha le medesime caratteristiche sotto latitudini diverse.
La prosa si articola in passi narrativi che improvvisamente si alternano con approfondimenti nella complessità di un pensiero che si nutre di risonanze letterarie, culturali e storiche molto variegate.
L’esortazione di Charles Baudelaire ai viaggiatori (nella poesia “Il viaggio”): “Vogliamo navigare senza vapore e senza vele!/Per distrarci dal tedio delle nostre prigioni,/ fate scorrere sui nostri spiriti, tesi come tele,/ i vostri ricordi incorniciati d´orizzonti” sembra avere anche in “Rotte d’Europa” una serie accattivante di risposte, dove Marina Torossi Tevini – pur consapevole delle gravi problematiche del mondo contemporaneo – sa esprimere il tratto di una fiducia sostanziale nelle magnifiche sorti e progressive dell’uomo e dei viaggi, progettati e realizzati con disponibilità piena a uno sguardo orizzontale nel presente e a una ricognizione verticale nelle matrici generanti delle realtà considerate.
Enzo Santese