Poesia contemporanea 2

In fondo al labirinto quale verità?
Il suono più alto più basso chiamato
silenzio. È lì che il mondo inizia a ruotare
e ci trascina via insetti senza ali
controvento? È uguale per me il punto
da cui cominciare: là ritornerò
di nuovo. È Parmenide a parlare
lui vive a Elèa e ho raccolto
brandelli del suo corpo giunti fino a me
e come lui voglio ascoltare il cavo
suono del nulla e non chiedere
altro che non capisco. Ho bisogno
di consolarmi con quella luce
del sud che in me continua a scintillare.
(Lucetta Frisa)


Un edificio per la pilatura
del riso divenne un cratere
a gas per la soppressione 1775
di molti inermi e non li soccorse
il prodigio come nel territorio
di Moria,79 dove lo stesso Dio
provvide l’agnello per l’olocausto.
I superstiti furono lì di transito 1780
per Buchenwald, Dachau e Auschwitz.
Ed è più ripugnante di un ufficiale
della Gestapo il fanatico di oggi
che nega di potere riconoscere
forni crematori, baracche, 1785
filo spinato, fili
elettrici ad alta tensione,
torrette guarnite di mitra
e di riflettori, fanatico
accorto solo quando si tratta 1790
di cancellare dalla memoria
corpi decomposti in fosse
comuni, di ignorare
brandelli di stoffa
corrosi dalla calce viva,

frammenti di scrittura
quasi disciolti nei taschini
posteriori dei pantaloni
inzuppati di pioggia…

(Tomaso Kemeny)

oppure un
sarà come lavarmi il viso
sorprendere di fresco gli occhi chiusi
e sbatterli di nuovo (e ancora) menta fino al verde
una goccia – estrema – capace di curvare l’angolo
che anche il fuso Rosaspina, inciso il polso
piange sonni e sangue immacolato, le voglie di paglia
la sete inappagata, hanno muso di sterpo e teche
a sorreggere le gambe, la corsa fuori
nuda oltre la tenda, ha voce di sabbia
“non avrei saputo dire il nome come simbolo d’amore”
un suono affastellato sulla lingua o rumore vicino l’ombelico
un pensiero di vento, oppure un vento che recita il tuo nome
all’improvviso, come vita in origàmi (o voli) sulla tua carne bruna
(Doris Emilia Bragagnini)

Porti di Genova

Piogge così fitte amarognole
spesse come un mare
d’acqua aspro da attraversare
piove sottili, ragnatele
sparse sopra i muri
piove, oceano di una stagione
vecchia d’improvviso
e sarà difficile, pensi, come un genovese,
serrare le valige e dire andiamo
a cercare un mondo altro
quando l’ultima luce della scena è il porto
la sua lanterna s’accende a vuoto
non sai più distinguere le sue luci
e l’acqua uno sciacquio lento
che si fa sempre più fatica ad ascoltare.
Che senso mai sarà partire
se non sei capace di tornare?
Boccaddasse e le sue ghiaie
eterne bambole focacce zuccherose
che s’ingeriscono a fatica
come crepe mal chiuse e nuovi crolli.
Tu ti aspetti ogni cosa dal tuo porto
meno che resti muto davanti agli occhi.
(Roberto Dedenaro)

Notte,
dammi una stanza
alle cui pareti
io possa poggiare
l’orecchio
ed ascoltare al di là,
la tenerezza perduta,
rumore di passi dietro la porta
e fuori maestrale
forte, forte,
a portarmi il mare.
Che mi spogli le vertebre e mi tenga nuda e abbracciata,
capace ancora d’amare.
(Maria Grazia Assumma)

(selezione a cura di m.t.t.)