Il canto del castrato di Giovanna Mozzillo

In tempi in cui la cronaca dei quotidiani femminicidi ci induce a riflettere sul percorso degli ultimi decenni nei rapporti tra generi, ben a proposito arriva il libro di Giovanna Mozzillo Il canto del castrato (Marlin, 2019, pp. 231) che sposta l’ottica dell’osservazione al passato, a storie di sopraffazione e di riscatto. Le due protagoniste del romanzo, – un romanzo dai toni decisamente femministi, – Ippolita e Lucrezia, madre e figlia, sono vittime di una società che vede la donna solo nella sua funzione riproduttiva. Ippolita è madre di ben undici figli, imbrigliata in un matrimonio in cui la supremazia maschile è esercitata con brutalità e insensibilità infinita. Lucrezia, quindicenne, è destinata a sposare un cugino da cui non si sente minimamente attratta. Entrambe sono destinate a subire, come moltissime donne in tanti secoli della storia occidentale, a essere stritolate all’interno delle maglie di un patriarcato che ha lasciato pochi spiragli anche alle donne più fortunate perché appartenenti alle classi superiori.
Oggi si tende a dimenticare il lungo percorso che ci ha portato dove siamo, a ignorare o a non riflettere abbastanza sul fenomeno che per secoli in Occidente la donna è stata proprietà maschile e solo nel corso del Novecento ha avuto accesso a diritti per noi imprescindibili come il diritto di voto o la possibilità di accedere agli studi universitari e che a Novecento ben inoltrato in Italia si riconosceva ancora come attenuante il delitto d’onore che depenalizzava ampiamente l’omicidio. Ma il non riflettere su quanto lungo sia stato il percorso che ci ha portato dove siamo e quanto sia costato alle donne è la causa di molte sciagure di oggi.
Le giovani donne tendono a credere che quello che le generazioni precedenti hanno ottenuto con durissime lotte sia un banale diritto e un punto di partenza, e talvolta ne abusano, gli uomini invece pensano, quasi sempre in modo inconscio, che sia stato sottratto loro qualcosa che da sempre rientra nel naturale e nel dovuto. Il sangue che scorre oggi è in gran parte il prodotto dell’ignoranza e della superficialità.
Trovarsi davanti un romanzo storico, ben documentato come questo della Mozzillo, ci consente di fare qualche passo indietro per osservare con maggiore obiettività anche l’oggi.
Ne Il canto del castrato ci troviamo catapultati nella Napoli del Seicento in un periodo interessato da uno dei flagelli che hanno segnato periodicamente la storia umana, un’epidemia di peste. Le due protagoniste hanno una buona cultura, – a quel tempo era il precettore, generalmente un uomo legato al mondo ecclesiastico, ad impartirla, – e questo consente alle due giovani donne una certa autonomia, almeno interiore. Ma quello che dà loro la vera libertà è l’amore, Ippolita per Cosimo, l’anticonvenzionale e colto prelato addetto all’educazione di Lucrezia e degli altri figli, e Lucrezia per Federico, il Caffarello, un cantore castrato secondo l’uso del tempo per ottenere toni della voce sublimi. Grazie a questi due uomini entrambe accedono a un tipo d’amore che esula dalla brutalità del possesso, ma non nega il possesso stesso. L’amore tra persone miti dunque, nel rispetto gli uni degli altri, pare essere la sola strada – allora come ora – per giungere alla felicità o a quello che all’uomo in questo senso è concesso. Perché è proprio nel rispetto dell’altro e non nell’affermazione di sé che si può realizzare un rapporto appagante e duraturo. Oggi molti tentano un percorso inverso, eredi di un tipo di educazione che per decenni ha strombazzato insani messaggi come il consueto “Metti te stesso al centro di tutto”. Ma che sia una strada poco fruttuosa lo dimostra il fallimento di molte unioni e, in casi estremi, persino le uccisioni che inondano di sangue e rancore le cronache nere dei nostri giorni. È evidente che se tutti vogliono porre i propri interessi al primo posto – e questo succede non solo nei rapporti tra generi, ma in moltissimi campi, – la società che ne scaturisce è una società di persone malcontente e insoddisfatte. Certo, nei secoli passati è stata sempre la donna a subire, mentre l’uomo ha fatto la parte del leone, e non solo in famiglia, ma in ogni settore della società. Questo non lo si può dimenticare, non lo si deve dimenticare. Però il prezzo del riscatto non può essere la morte o l’infelicità, ma un rapporto armonioso e rispettoso tra generi che l’educazione avrebbe il compito di veicolare.

(m.t.t.)