Lisbona: seduti a un caffè davanti al selciato bianco e nero della città mi viene da pensare a una partita a scacchi tra i paesi d’Europa.
La giornata ha qualcosa di malinconico – come malinconica è sempre Lisbona in questo suo protendersi sull’Oceano in questo suo volgersi a un passato di grandezza che ora non esiste più, in questo suo isolamento, – circondata dal mare ma collegata al resto del continente – in questo suo morbido adagiarsi lungo le rive del Tago attraversato da avveniristici ponti, mentre il fado riecheggia nei locali e risuonano le parole di Tabucchi che a Lisbona muore.
Ho sempre l’impressione che manchi qualche tassello per capire. La crisi che ha colpito l’Europa e il mondo negli ultimi anni è complessa. Ha aspetti finanziari indubbiamente, – questa finanza impazzita che ha macinato profitti giganteschi speculando sulla vita dei popoli, – ma presenta anche e soprattutto preoccupanti aspetti sociali. In primo luogo la disoccupazione giovanile esplosa in dimensioni inaccettabili, e poi il livello di indebitamento, – nel mondo occidentale già prima della crisi nel decennio 1998-2008 era cresciuto del 50 % – tendenza che credo sia da mettere in rapporto con indotti atteggiamenti mentali che per forza di cose nel futuro dovranno essere abbandonati. La società dei consumi in questi decenni ha prodotto individui che fanno la felicità dei grandi trust, non certo la propria.
Passeggiamo per Londra tra Piccadilly e Westminster e guardiamo giù dal Waterloo bridge e poi in rapida sequenza osserviamo le nuove torri della City che maciulla i destini de mondo, la nuova rotonda torre e l’avveniristico grattacielo di Renzo Piano in Tooley street.
Negli ultimi anni dicono che il valore dei derivati abbia superato di varie volte il pil del mondo scommettendo sulle materie prime e affamando interi paesi e da poco anche giocando con la vita di noi privilegiati occidentali che fino a poco tempo fa ce ne stavamo al sicuro sotto le ali di uno stato protettore e ora capiamo che tanto protettore non era, o perlomeno che le cose non sono state fatte nel modo migliore e più lungimirante. Oddio magari potevamo capirlo anche un po’ prima, ma è noto che la lungimiranza non abbonda nella mente degli umani.
Viaggiare catapultandoci con un aereo in qualche capitale è indubbiamente riduttivo. Eppure anche viaggiare nelle capitali è piacevole, le capitali sono un concentrato di vita e di stimoli. Chi non impiegherebbe mesi della sua vita per stare a Parigi, per percorrerla in lungo e il largo con i battelli, per sostare nei bistrot, per contemplarne la stupefacente grandezza? (ma questo non inficia che i paesini della Provenza abbiano un sapore irripetibile, e anche le cittadine della Bretagna o della Linguadoca). Così se Oslo si offre a noi in un giorno di fine agosto bellissima in una luce tangente e netta e noi scendiamo dalla nave e turisti diligenti ci imbuchiamo sotto le forche caudine del metal detector sono contenta di esserci arrivata parecchi anni fa per una via diversa, non svegliandomi e vedendo dal balcone le isolette che punteggiano il suo fiordo (che pure è un panorama stupendo) ma arrivandoci dopo una sfaticata non da poco e un attraversamento lento e punteggiato di soste con una roulotte che da Trieste ci aveva portato attraverso la Germania e la Danimarca a Oslo.
Adesso, in questa toccata e fuga veloce, non colgo tanti aspetti che mi avevano colpito quella volta, mentre la Norvegia ci si svelava poco a poco, mentre scoprivamo nei supermercati gli usi alimentari del luogo, mentre ci rompevamo la testa per capire in norvegese come si poteva fare un biglietto per i mezzi pubblici. Ma anche queste dodici ore che la nave ci regala ci offrono molte suggestioni.
È la Oslo che si sta riprendendo dallo shock della strage di Utoya dove Anders Breivik uccise 77 ragazzi, la Oslo che ancora depone fiori davanti alla Domkirke ma anche la Oslo bene ordinata dove tutto funziona e le macchine trovano le prese per la corrente elettrica nei parcheggi cittadini e i pescatori vendono gamberetti freschissimi nelle barche attraccate al molo. È la Oslo dell’autonomia energetica che ha molte piattaforme petrolifere nel mare del Nord e molte pale anche nell’acqua. È un mondo che sta bene, prudente più del nostro mondo mediterraneo, è un mondo che però in qualche modo, proprio perché sta bene, teme di perdere questa condizione di privilegio.
I timori del Nord e del Sud dell’Europa sono diversi, ma sono sempre timori. A Sud la miseria talvolta è tangibile e lo si vede nel volto delle persone, nelle condizioni di vita, nella natura deturpata. Nel Nord adesso, come d’altronde anche vent’anni fa, – complice la scarsa popolazione e le condizioni sociali migliori, – la natura è rispettata maggiormente e i servizi funzionano a meraviglia. Ma in questo paradiso si inserisce un veleno che è la paura, la paura di condividere, la consapevolezza che in questo mondo in rapido mutamento nessuna certezza rimarrà, tutto verrà rimescolato. I più forti strapperanno i bocconi migliori e non si potranno chiudere porte e finestre e salvarsi dietro alle mura di casa. Questo credo crei una sorta di psicosi in quest’oasi di benessere che sono i paesi del Nord Europa e lo si vede anche a Copenaghen.
Passeggiamo davanti all’Amalienborg mentre si danno il cambio della guardia, poi percorriamo le vie centrali con soste a Hoibro Pad, NocolaJ Kirke e al Rosenborg Have tra bell’erbetta e fiori che spuntano rigogliosi, poi ci dirigiamo verso i ristoranti di Nihavn gremiti di turisti.
Oggi certo in Europa si sta mediamente molto meglio di come si stava negli anni Cinquanta o Sessanta per quel che riguarda la ricchezza posseduta e il tenore di vita, ma psicologicamente si sta molto peggio. Negli anni Cinquanta la guerra era alle spalle, si sperava, ci si proiettava nel futuro, lo si immaginava e costruiva migliore. Oggi le condizioni economiche per molte classi sociali sono ancora abbastanza buone, ma inficiate da un generale pessimismo che ci fa sentire precaria e a tempo la nostra situazione. Abbiamo la consapevolezza (o l’inconscia percezione) che i nodi di fondo non sono stati sciolti e neppure affrontati e che si sta raschiando il fondo del barile di un benessere che ci ha favoriti negli ultimi decenni abbastanza scriteriatamente spingendoci a dilapidare risorse che sarebbe stato bene tesaurizzare per le generazioni future. Da questa semplice constatazione credo si dovrebbe cercare di ricostruire un mondo che non è stato distrutto da una guerra, ma è comunque psicologicamente a pezzi. Forse il mondo che ne uscirà, se davvero si metterà seriamente mano a quest’opera di ricostruzione, sarà migliore del nostro perché i beni materiali che hanno infarcito la nostra società negli ultimi decenni non fanno certo la felicità. Si dovrebbe insegnare ai figli questo, anziché vestirli come dei piccoli trofei da ostentare agli altri, anziché perseguire sempre e solamente mete materiali e vendere il proprio tempo e la propria anima per raggiungerle.
Dal porto si vedono le solite pale nell’acqua e un lunghissimo avveniristico ponte che collega Copenaghen alla Svezia.
Niente da dire, i paesi del Nord hanno puntato sulle infrastrutture e sull’autonomia energetica e questa è la loro forza. Noi abbiamo fatto per anni una politica miope e clientelare pensando di vivere di rendita, di poterci sparare le nostre utopie dove avremmo voluto tutto – comodità benessere scarpe firmate figli mansueti produzione di energia e discariche in altri paesi – e al contempo chiudevamo gli occhi davanti a un mondo che cresceva velocissimo e che metteva sul mercato le immani risorse di un’economia che in Asia può contare su un patrimonio umano dalle dimensioni enormi e su una libertà d’azione che nel nostro vecchio continente è impensabile.
Quando si esasperano troppo le situazioni alla fine il gioco sfugge di mano e ora mi sembra prossimo al collasso. Crolleranno o si ridimensioneranno la City di Londra coi suoi giochini sporchi, la borsa di New York che già da tempo i giovani vanno contestando, perché forse a un certo punto anche questa generazione afona troverà le parole e la forza, – che per natura dovrebbero essere propri dei giovani, – per dire la sua alla storia. E allora saranno rivolte e imprevedibili derive.
La violenza non è mai desiderabile – ma purtroppo la storia umana è storia di tragedie e di irrazionali violenze, è storia di balzi e di burroni, è storia insensata e tremenda.
E a chi ama la pace e vorrebbe sanare le ingiustizie più plateali senza spargimento di sangue che cosa rimane? In teoria ben poco margine di manovra se teniamo conto di quanto il passato ci testimonia e di quello che la psiche umana può produrre, ma pure anche in questo poco vale la pena di operare, per non lasciare che anche la deriva sociale si sommi ad altre derive che ci vengono dall’esterno e renda più vicina la fine del nostro traballante Occidente.
agosto-settembre 2011
L’articolo completo è pubblicato nel libro “Rotte d’Europa” Hammerle editore, 2015