Arriviamo ad Aqaba. Il porto giordano ci accoglie col suo alto minareto e il canto del muezzin che chiama alla preghiera i fedeli. La giornata sarà per noi lunga e faticosa. Siamo stati già a Petra due anni fa, ma sarebbe un vero peccato restarcene in uno stabilimento balneare quando ci sono ancora mille sorprese tra quelle rocce rosa in mezzo alle gole e così nonostante gli Usa abbiano avuto la bella pensata di sganciare più di un centinaio di bombe sul suolo siriano dalle loro basi sul mar Rosso proprio la notte precedente al nostro arrivo decidiamo di avviarci verso Petra.
La guida giordana che ci accompagna esordisce dicendo: “Noi siamo tutti siriani”, e poi dimostrando una cultura notevole, snocciola tutte le colpe riconducibili all’Occidente in senso lato dal tempo di Esaù e dell’impero romano. “Madonna, qui non arriviamo a Petra – penso – questo mi sembra proprio arrabbiato, in una di queste gole ci prende e ci sgozza”.
Saliamo per strade tortuose che conducono tra deserti e montagne a Wadi Musa da dove si accede al sito di Petra. Intorno deserto sassoso e qua e là detriti a bordo strada. “Il deserto è bellissimo” dice la nostra guida “Se ti inoltri e ti lasci catturare dal suo fascino lo capisci davvero”. Qua e là si vedono campi di nomadi beduini con pecore e cammelli. “Dovreste trascorrere una notte in una tenda” continua.
“Mi sarebbe sempre piaciuto”, dico io “ma non ho mai avuto l’occasione di farlo e poi temevo le scomodità”. “Scomodità? Ma no! Sono tende a 4 stelle” dice la guida, “tende da mille e una notte”.
“Mi piacerebbe, forse una volta lo farò” dico io.
“Sono stato in Europa e anche in Italia” continua la guida, che parla benissimo l’italiano, “ma ho capito una cosa, noi non abbiamo bisogno dell’Europa, qui c’è la bellezza”.
È vero. Il deserto ha un grande fascino, specie la notte. Credo che un cielo stellato faccia diventare più saggi delle nostre luci al neon.
“La Siria è diventata il campo di calcio tra russi e americani (e francesi e inglesi non stanno a guardare) per giocarsi la ricostruzione” continua la nostra guida. “Ma intanto la gente muore”.
Ha ragione, è indegno quello che si sta compiendo.
Arriviamo a Petra, la meravigliosa città rosa dei Nabatei, rimasta per tanto tempo nascosta all’umanità. Percorriamo lo stretto canalone, poi si apre la meraviglia del tesoro e la vallata che conduce alle tombe, al teatro e al colonnato.
La giornata è calda più di due anni fa, ma scopriamo alcune rocce che ci erano sfuggite e qualche particolare inedito qua e là in una meraviglia di colori.
La cucina giordana, piccantissima, è nell’insieme gradevole.
Il ritorno è meditabondo e sonnacchioso, ma alla fine riesco a far uscire il nostro accompagnatore dal suo silenzio. Vedo che è saggio e molto critico verso di noi, ma non è cattivo.
“Chi può essere malvagio quando guarda il cielo stellato?” dice. “È l’unica cosa che conta”. Concordo e ricordo i cieli stellati in montagna che per me sono sempre stati i panorami più belli. Sorride.
Penso che il viaggio ci ha regalato molte emozioni. Anche questa giornata è preziosa.