Svevo: scrivere come misura d’igiene

Cittavecchia _serale“Devo pensare a scrivere per sentirmi vivo, posto che la vita che faccio, tra tanta virtù che ho e che mi viene attribuita, e tanti affetti e doveri che mi legano e paralizzano, mi priva di ogni libertà. Io vivo con la stessa inerzia con cui si muore. E voglio scuotermi, destarmi. Scrivere sarà per me misura d’igiene”. Sono parole di Svevo che ribadisce: “Io non so pensare senza la penna in mano” e nel lungo periodo di intervallo tra la pubblicazione senza successo dei due primi romanzi e la stesura del La coscienza di Zeno più volte dichiara di aver rinunciato alla letteratura non però alla scrittura. Il fittissimo epistolario di quegli anni costituisce in un certo senso un surrogato per chi si è negato qualcosa che pure per natura gli è vitale ed anche in fondo un involontario banco di prova per una ridifinizione del rapporto vita-letteratura; prepara Svevo alla stesura di quella “autobiografia che non è la sua” in cui, in un gioco di specchi, il personaggio-scrittore compone e scompone l’esistenza ricreando il passato alla luce delle esperienze successive con la fluidità che la parola possiede e la sua capacità di dire e nel contempo di non dire, di affermare ma anche di insinuare dubbi sulla veridicità di quanto affermato.
“Devo scrivere come misura d’igiene”, con la nota abilità nell’esprimere in modo apparentemente banale grandi verità Svevo afferma quello che è lo scopo dell’arte: aprire mondi inesplorati, dare una sbirciatina agli abissi della coscienza, dire parole che sfuggono alla logica riduttiva che presiede alla comunicazione.
Ben poca cosa è la parola se considerata solamente nella sua valenza comunicativa. L’arte può attingere più in fondo. Esprimere strati più profondi della coscienza. Farli affiorare.
Con Svevo inizia una nuova era. Un’era in cui l’avventura della parola ci avrebbe portato a scoprire valenze inedite della stessa (pur con tutte le aberrazioni e gli eccessi) e ci avrebbe spinto lontano da quegli ancoraggi forse troppo semplicistici che nel passato avevano rassicurato l’uomo, dandogli l’illusione di comunicare davvero.
In Svevo sono presenti due anime in conflitto: l’artista che vorrebbe perseguire l’arte (e solo l’arte) in modo disordinato e senza tener conto dei limiti che la rigida realtà sociale gli impone e l’uomo, il borghese inserito a tutti gli effetti nella società del tempo, che, come egli stesso afferma, “ha troppa virtù e troppa gli viene attribuita” tanto che si ritrova “legato da affetti e vincoli” che gli consentono una banda molto ristretta di oscillazione. La nevrosi che quest’esistenza dissociata inevitabilmente produce si cura, come afferma Svevo, con lo scrivere. Ma che posto può avere la letteratura in una società capitalistica “in cui il potere economico ha soppiantato ogni altro valore”, in cui cresce sempre di più la divaricazione tra realtà e apparenza, tra essere e avere? È questo un interrogativo che Svevo si pone sin dalla stesura del primo romanzo “Una vita”. Il borghese Ettore Schmitz considera la letteratura un “vizio”, sintomo di inettitudine e di malattia, ma pure continua a scrivere, anzi talvolta si rammarica (come risulta dagli appunti del suo diario) di non aver scritto abbastanza. “ Perché solamente la parola può fermare il tempo e andare al di là della vita” e solo quello che è ricreato dalla parola ha una vita non contingente. Perché solo la letteratura può “correggere la vita”, secondo i suoi desideri, può riplasmare “l’orrida vita vera”.
Svevo nella sua esistenza è un borghese affermato eppure con si identifica col suo ruolo né si accontenta della sua vita. Ritiene l’arte superiore. “L’identità si conquista solo nella scrittura che conserva la memoria del passato, fissa il presente e accoglie le fantasticherie del futuro. Grazie alla scrittura ci si dona l’illusione di scampare alla condanna del non più essere”.
I libri di Svevo si lasciano amare per la capacità che l’autore ha di prenderne le distanze dai miti della classe borghese, di porre dei distinguo, di vivere in un rapporto dialettico con se stesso.
Svevo è stato una delle passioni della mia giovinezza. Entrò subito in consonanza con le corde della mia anima per la sua capacità di guardare le debolezze umane con occhio intelligente e ironico, riuscendo abilmente a svelare le mistificazioni.
Ricordo che nei primi anni in cui insegnavo mi chiedevo se sarei stata capace di far amare ai miei alunni i personaggi sveviani. Non capita spesso di riuscire a trasmettere completamente le nostre emozioni ed anzi, più si è emotivamente coinvolti, più le nostre parole escono paradossalmente impacciate. Il messaggio che avrei voluto trasmettere ai ragazzi era questo: da Svevo dovremmo apprendere a essere meno ridicolmente seri, a scherzare un po’ sui ruoli che ricopriamo, a conservare le nostre irriducibili punte di individualità anche se queste ci costeranno qualche “assenza” dalla vita. Credo di non esserci mai pienamente riuscita. I personaggi sveviani non piacevano ai ragazzi. Non piaceva Zeno che appariva troppo insicuro e incerto, che non raggiungeva i propositi che si prefiggeva o che ne otteneva per caso degli altri.
Figli dell’ideologia dell’efficienza, dell’iperattività e del successo ad ogni costo, come potevano amarlo? Avevo l’impressione che nelle loro menti gli inetti sognatori non riuscissero del tutto a far presa. Li guardavano con diffidenza e forse inconsciamente, mentre li accusavano di debolezza, in realtà ne temevano la potente forza corrosiva.
Ho sempre pensato che la lettura delle opere di Svevo possa essere un intelligente antidoto alla banalità di certi messaggi che la nostra società trasmette. Svevo potrebbe insegnare ad essere un po’ meno preda dell’apparenza, ad avere un po’ più di spessore d’anima.
L’ironia e l’autoironia sono arti supreme di vita. Ci proteggono da molte aberrazioni.

(m.t.t.)

2 pensieri su “Svevo: scrivere come misura d’igiene

  1. annamaria49

    Svevo diceva: “Non so pensare senza la penna in mano.” Ecco, non sono del calibro di Svevo, figuriamoci, e lo dico a capo chino, ma mi ci ritrovo: quando devo esprimere un concetto a misura del mio pensiero, riesco a farlo solo scrivendo. C’è chi ha la capacità oratoria e chi quella scrittoria, ovviamente ad ognuno il suo livello di capacità. Devo essere sincera, è la mia dote primaria, non ho letto nulla di Svevo, ma lo farò senz’altro, mentre ho letto moltissimo di vari autori e da qualche anno quasi tutte le opere della grande scrittrice Irène Némirovsky sconosciuta al grande pubblico e venuta alla ribalta nel 2005 quando la figlia ha consegnato alle stampe il capolavoro Suite Francese che giaceva in una valigia da circa sessant’anni, dal tempo in cui la madre fu deportata ad Auschwitz in quanto ebrea. E poi adoro Sandor Marai altro scrittore di culto.
    E’ stato un piacere entrare in questo blog, ci sono passata attraverso un’amica comune, Cristina Bove.
    Buona giornata
    annamaria

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